Materia Medica Simbolica
- Momentaneamente non disponibile
- Formato: Libro cartaceo - 254 pag - 17x24 - 1° ed
- Autore: Levio Cappello
- Editore: Nova Scripta
- Anno stampa: 2005
- ISBN: 8888251030
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Lo trovi in: Materia Medica Omeopatica
Descrizione
L'intento di questo libro è di fornire un'ulteriore possibilità interpretativa dei rimedi omeopatici attraverso la simbologia. A questo fine l'autore utilizza la potenza significante della mitologia, della metafora e dell'analogia, senza mai perdere di vista le reali proprietà fisico-chimiche delle sostanze esaminate.
Ciò che il Dottor Cappello ci offre con questo suo primo lavoro è un inedito e interessante approccio allo studio del sintomo come espressione simbolica, volto a interpretare il segno della malattia in una veduta d'insieme dell'ammalato e a scoprire la ricchezza tipologica delle manifestazioni simboliche che alcuni rimedi possiedono nella propria natura.
Prefazione
Ogni cosa è un simbolo: mentre si presenta nettamente, indica tutto il resto. In questa modalità io vedo una combinazione della più alta presunzione e della più alta modestia. (Sant’Agostino).
Un’idea, nel significato più alto di questa parola, si può comunicare soltanto mediante un simbolo. (Coleridge, “Biographia Literaria”).
Conosco l’amico e collega Levio Cappello da oltre un ventennio ed ero certo che prima o poi, in qualità di omeopata e psicosomatista, non avrebbe potuto resistere all’affascinante seduzione del mondo dei simboli. Era inevitabile, perché il linguaggio dei sintomi è per sua natura psicosomatico e quindi complesso e globale, come complessa e globale è l’Omeopatia.
Se è vero che ogni forma ed espressione di linguaggio funge da portatrice e mediatrice di significati, anche il linguaggio dei simboli vive della tensione tra significante e significato. Ma vi è una differenza sostanziale: mentre le espressioni linguistiche, come ad esempio il vocabolo dell’oggetto di volta in volta inteso, sono soltanto attribuite, il simbolo lega insieme significante e significato in modo quasi totalizzante. Vi fu un tempo in cui - soprattutto nella visione mitico-magica del mondo - questo legame fu così intimo e serrato da equivalere quasi sempre a una ben precisa identità. Numerosi significati, da noi oggi percepiti e sentiti solo come simboli, erano all’origine concepiti direttamente come messaggi relativi a delle realtà ben precise; così in origine il Sole non era simbolo di luce divina ma era esso stesso un Dio; il serpente non era inizialmente l’immagine simbolica del maligno, ma era esso stesso maligno e cattivo. Si comprende pertanto come i confini tra l’immaginario, il mitico o il magico e il pensiero simbolico, raramente possono essere delineati con estrema precisione, soprattutto se consideriamo che il simbolo - come portatore di significati - possiede un’ambivalenza così fortemente marcata al punto da rappresentare significati opposti in una sola immagine simbolica. È’ pertanto difficile tradurre l’ambivalenza di un simbolo in descrizioni coerenti; la ricchezza dell’immagine simbolica alla fine può rimanere intraducibile, salvo che per lo sguardo interiore. Questa dualità simbolica rappresenta infatti la difficoltà maggiore per tutti coloro che si occupano di simboli.
Il termine “Simbolo” dal latino symbolus e symbolum significa “accostamento”, “segno di riconoscimento”. L’etimologia greca del sunbolon significa invece “mettere insieme, far coincidere”. Infatti, presso gli antichi Greci il simbolo era il mezzo di riconoscimento, di controllo, costituito da ognuna delle due parti ottenute spezzando irregolarmente in due un oggetto, in modo tale che le due persone che possedevano ciascuna una metà dell’oggetto (anello o tavoletta) potessero riconoscersi e assicurarsi delle rispettive identità anche dopo molto tempo, ponendo insieme i due pezzi dell’oggetto. In senso più generico e figurato si intende per simbolo qualsiasi elemento, segno, gesto, oggetto, animale o persona atti a suscitare nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile, ma capace di evocarla attraverso qualcuno degli aspetti che caratterizzano lo stesso elemento, il quale viene pertanto assunto a evocare in particolare entità astratte, di difficile espressione. Ecco perchè nell’esoterismo il simbolo è considerato come una porta attraverso cui gli esseri umani possono comunicare con il mondo immateriale, mettendoli in relazione con le radici incomunicabili della realtà.
Se la simbologia è la disciplina che studia i simboli e i loro valori, la semeiotica è la “scienza dei segni”, la dottrina dei segni, del testo e dell’interazione tra testo e ricevente. Più anticamente la simbologia era la dottrina della conoscenza simbolica in generale, strettamente correlata alla gnoseologia. Solo più tardi la semiologia (o semeiotica) entrerà a far parte del corpus della medicina come interpretazione dei segni delle malattie. La parola “semeiotica” deriva infatti dal greco semeion che significa “segno” ed è la disciplina che studia – in ogni suo aspetto – i simboli utilizzati dagli uomini per comunicare tra loro, dai più evidenti come le parole, la scrittura, i numeri e i segni convenzionali, ai più celati o marginali. Parlavano già di segni Platone, Aristotele, gli Stoici e San Tommaso d’Aquino.
Solo apparentemente il segno e il simbolo sono uguali. Mentre è vero che il segno e il simbolo sono simili in quanto entrambi indicano ‘qualcos’altro’ al di là di se stessi, il simbolo è l’elemento che “indica” o “rappresenta” anche un accostamento, un segno di riconoscimento che ci permette di far coincidere e mettere insieme nella nostra mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile, ma capace di evocarla attraverso qualcuno degli aspetti che caratterizzano l’elemento stesso, il quale viene pertanto assunto a evocare particolari entità astratte di più difficile espressione. È anche vero che il ‘qualcos’altro’ che il simbolo ‘indica’ o ‘rappresenta’ pur essendo definito e specifico, può rappresentare e significare una grande varietà di cose in tempi e luoghi diversi. In altri termini, esso ci svela una relazione di rapporto uno a molti, mentre l’interpretazione del segno ci dà una relazione di uno a uno; come a dire che il segno sta al personale come il simbolo all’universale.
In semiologia, secondo il pensiero e la terminologia del pragmatista Ch. S. Peirce (1839-1914) “Il simbolo significa il suo oggetto per mezzo di un’associazione d’idee”, il simbolo è il segno il cui significante è in rapporto puramente convenzionale con la cosa significata, alla quale si collega in virtù di una regola costante, e in genere nota e accettata dai più (per esempio, la bilancia come simbolo di giustizia). Questa definizione di simbolo, seppur limitativa, fu accettata e condivisa da pragmatisti e filisofi analitici. Ma se il simbolo è “svelato” ecco che allora esso diventa segno, indicando, a qualcuno che lo sa interpretare come tale, ciò che sostituisce qualcosa. Il segno è dunque “qualcosa” attraverso la conoscenza del quale noi apprendiamo qualcosa di più. Esso infatti, a differenza del simbolo, è qualcosa di più “leggibile”, più visibile o sensibile di un qualche cosa, di un fatto, di un evento, di una manifestazione o un fenomeno da cui possiamo trarre indizi, deduzioni e conoscenze. Il simbolo, infatti, è simbolo autentico solo nel caso in cui sia perenne e sconfinato per significato, quando presenti nel suo misterioso linguaggio, allusioni e suggestioni che esprimono sull’oggetto qualcosa di indefinibile, di inadeguato alla ‘parola esteriore’. “La percezione del simbolo – scrive J. Chevalier – esclude un atteggiamento da semplice spettatore ed esige una partecipazione da attore”.
In medicina il segno è diventato termine equivalente a sintomo obiettivo, spontaneo o provocato con particolari artifici o manualità ed è solitamente indicato col nome dell’autore che lo ha per la prima volta descritto o valorizzato ai fini diagnostici. Il sintomo soggettivo invece, è solitamente considerato di minore importanza in medicina convenzionale. Pertanto, nel linguaggio medico il segno è diventato il sintomo e quest’ultimo indica ciascuno dei fenomeni elementari con cui si manifesta lo stato di malattia. La sintomatologia diviene dunque il complesso dei sintomi di una malattia o di un gruppo di condizioni morbose. Non sempre però la manifestazione sintomatologica esprime una sindrome ben definita e non tutte le malattie si presentano inizialmente con sintomi evidenti e ben inquadrabili in una determinata sindrome. A parte i sintomi e le sindromi che sono già ben definite dalla semiologia medica convenzionale, sappiamo infatti che esistono molti sintomi variabili, instabili e complessi e che i sintomi dell’ammalato rivelano spesso la sua peculiare sensibilità e reattività individuale. A queste considerazioni dobbiamo aggiungere il fatto che la comparsa di determinati sintomi è spesso una delle precoci manifestazioni della malattia o del disagio esistenziale del paziente e che l’espressione degli stessi sintomi da parte del paziente non è sempre facile e chiara.
Spesso è difficile scegliere e gerarchizzare per importanza i sintomi più legati alle dinamiche-chiave del soggetto e comporre un quadro d’insieme che sia il più oggettivo possibile. Esistono poi malattie funzionali che sono ricche di sintomi talora marcati e spettacolari e vi sono malattie lesionali gravi come il cancro che inizialmente possono non manifestare alcun sintomo. Riguardo l’analisi, l’interpretazione e la gerarchizzazione dei segni in medicina, grandi sono le differenze tra la medicina omeopatica e quella convenzionale. Anche se mancano ancora vere e proprie valutazioni statistiche nella costruzione delle materie mediche, l’Omeopatia ha suddiviso i sintomi statisticamente rilevanti in diversi gradi(1) e portato al massimo livello la differenziazione dei sintomi oggettivi attribuendo un grande valore e significato all’espressione dei sintomi soggettivi.
Alle antiche classificazioni dei sintomi si sono aggiunti i termini più moderni e più recentemente si è inserita – da parte di alcune scuole - l’interpretazione psicoanalitica dei sintomi omeopatici per lo studio del personoide. L’interpretazione in chiave psicoanalitica dei sintomi, talvolta utilizzata in omeopatia, può però rappresentare una trappola per il terapeuta poiché si rischia di assegnare significato e valenza simbolica ad un “segno” che simbolo non è, perché solo frutto dell’espressione tossicologica e patogenetica del rimedio sullo sperimentatore. Il rischio è dunque assegnare valenza simbolica ad un segno che è sintomo di malattia o di natura sindromica. Pertanto, l’interpretazione psicoanalitica del sintomo-simbolo può essere fornita solo laddove la sua relazione con il pensiero della psicologia del profondo è particolarmente eclatante, anche se è ovvio che ogni interpretazione simbolica ha rilevanza psicoanalitica. Per non cadere in questa trappola, per navigare in questo mare magnum il Dottor Levio Cappello si è munito di bussola e sestante, ovvero della materia medica e del repertorio. Egli non interpreta soggettivamente e non decodifica i segni dell’ammalato solo secondo la psicologia del profondo, ma si rifà ai sintomi contenuti nella materia medica, analizzando il repertorio e trovando in esso la chiave di lettura dell’espressione sintomatologica dell’ammalato, ne decodifica il linguaggio dei segni per risalire al simbolo che li comprenda e li unifichi entrambi come un denominatore comune. In questa duplice veste di decostruzionista che “smonta” il testo del Repertorio per trovarvi elementi primari e significativi, e di ricercatore di tracce del soggetto enunciatore tali da guidare chi legge secondo una direzione ben precisa, l’Autore attua un processo di semiosi simbolica assegnando un senso compiuto a più segni significativi o significanti.
L’intento dell’Autore è dunque di fornire una diversa possibilità interpretativa dei rimedi omeopatici attraverso la potenza significante del simbolo, dell’analogia, della metafora e della mitologia, senza mai perdere di vista le reali proprietà fisico-chimiche delle sostanze. Ciò che il Dottor Cappello ci offre con questo suo primo lavoro è un inedito e interessante approccio allo studio del sintomo come espressione simbolica, volto a interpretare il segno della malattia in una veduta d’insieme dell’ammalato; a scoprire la ricchezza tipologica delle manifestazioni simboliche che alcuni rimedi possiedono nella propria natura e che si riverberano nello sperimentatore secondo il codice analogico del Similia similibus curentur. Ci auguriamo che questo libro possa contribuire a far sì che il medico, già troppo abituato dagli esami di laboratorio e strumentali a osservare e prediligere sempre meno i segni del paziente, non liquidi con sempre maggior frequenza e leggerezza certi sintomi soggettivi dell’ammalato come inesattezze preastratte o manifestazioni troppo personali per essere prese in seria considerazione dalla clinica quotidiana. Perché, se è vero che il simbolo non è mai così preciso come il segno, come il sintomo e la parola astratta, tuttavia esso suggerisce, certamente assai più di questi, una realtà più complessa, ma più coinvolgente , affascinante e profonda.
Pensato per uso medico, il testo è aperto anche a tutti quei pazienti e ai cultori di questa disciplina che sentono l’esigenza di approfondire il proprio vissuto, nell’ambito della cura omeopatica unicista.
Genova, li 8 Aprile 2004
Prof. Dott. Fernando Piterá
Professore a contratto di Medicine Non Convenzionali
e Tecniche Complementari - Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università degli Studi di Milano
Introduzione Autore
Le idee precedono quasi sempre la realizzazione pratica e concreta di un qualsiasi lavoro. L’idea che precede questo mio primo libro corrisponde al tentativo di far “scendere a terra” (per poi far risalire verso l’etere) quest’arte nobile e profonda che è l’omeopatia. Esistono in omeopatia le sperimentazioni delle sostanze e, pur tra dubbi anche legittimi sulla qualità delle stesse, a queste dobbiamo affidarci se vogliamo far sì che questa Medicina, a cui tutti noi diciamo di tenere nel fondo della nostra anima, decolli e sia riconosciuta, così da essere magari pienamente legittimata e prescritta nei modi chiari che le competono e che merita.
Per la scienza ufficiale l’uomo è diventato semplicemente una mera serie di accadimenti meccanici. Mentre le scienze olistiche (ολοσ = tutto) cercano di recuperare l’unità dell’essere umano, l’oggettività esasperata dello scientismo non solo perde di vista l’unità, ma ogniqualvolta osserva l’uomo in una sua qualche parzialità, in qualunque sua relatività, è destinata a perdere di vista il tutto.
La mia critica a riguardo della medicina ufficiale potrà sembrare abbastanza banale e scontata: il limite fondamentale è la meccanicizzazione degli esami e del paziente, la disumanizzazione del rapporto medico-paziente e quindi la perdita di vista di ciò che nell’essere umano è più naturale. In altri termini ci siamo dimenticati di essere strutturati in modo tripartito per cui abbiamo un aspetto mentale, un aspetto emozionale (chiamiamolo “nucleo anima” in senso molto laico, come nucleo emotivo-affettivo) e un aspetto somatico o corporeo. Laddove non teniamo presente questo, stiamo già separando in modo preconcetto qualcosa che non è possibile separare.
Anche la medicina psicosomatica attua una separazione tra il mentale e il corporeo; il termine stesso psico-somatica opera una scissione tra psiche e soma. Ci dovrebbe essere un interscambio continuo che non c’è, perché noi abbiamo una mente che domina tutto il campo sia a livello individuale che culturale: la mente razionale domina tutto. Per questo motivo non possiamo parlare in realtà di unità laddove non c’è paritarietà. È come se si volesse parlare di rapporto paritario di coppia laddove la cultura è patriarcale o matriarcale. Non è un discorso unilaterale in difesa dell’una o dell’altra forma: esiste una figura di potere e una di sudditanza che è succube della precedente. La stessa cosa sarebbe se noi non lavorassimo per dare dignità al corpo dimenticato, cioè a quel corpo che non è più una materia grezza, una materia senz’anima, una materia senza psiche (nel senso etimologico di soffio vitale); noi siamo riusciti, attraverso questi concetti scientifici, a ridurre il corpo a qualcosa di puramente meccanico; siamo diventati degli automi, abbiamo degli schemi terapeutici fissi e standardizzati. In quanto medico non mi chiedo più nulla, non mi interessa perché, che cosa vado ad operare, ma somministro cortisone e antibiotico per le minime banalità: questa è una cosa che stiamo osservando di frequente, è un protocollo terapeutico. Non ci chiediamo, per la maggior parte dei casi, come etica interna, se tutto questo corrisponda ad un processo veramente sano che riporti ad una salute vera. Ora il problema è che abbiamo una psicosomatica travestita che in realtà non cerca la paritarietà tra il livello psiche e soma, ma cerca semplicemente attraverso metodiche intellettuali, sottili e menzognere di avere di nuovo il predominio della mente razionale sul corpo. È una psicosomatica che non dà soffio né aria alla materia. Il problema è che dobbiamo cominciare a dare dignità alla materia, e questo lo possiamo fare solo attraverso il riconoscimento che la materia è dotata di un’intelligenza.
Le malattie che oggi sono considerate dalla medicina ufficiale psicosomatiche vengono imputate allo stress. Ma vedete quanto è grande la contraffazione per cui lo stress è diventato una malattia psicosomatica! Lo stress è diventato quel tutto che ci manca e a cui vogliamo scaricare, come capro espiatorio, tutto quanto il non detto, tutto il campo dell’inconoscibile. In medicina ufficiale diventa psicosomatica quella malattia a cui io ho dedicato molti studi oggettivi, sempre più specialistici, sempre più relativi e a cui non ho saputo dare delle risposte appropriate, tutto quello di cui non si trova una causa. Non c’è neanche coerenza nella stessa patologia. Quando non riesco a trovare una causa che razionalizzi, che spieghi l’effetto finale che vado osservando, devo per forza dire che è psicosomatica. Il termine “Psicosomatico” è diventato la pattumiera di tutto l’inspiegabile: questa è la cosa grave della situazione.
Vediamo adesso un modello che poi supereremo: M = mentale; E = emozionale; F = fisico. Tanto in psicosomatica che in omeopatia di vecchio tipo esiste questo modello (Vithoulkas): immaginate di osservare un castello dall’alto, immaginate che esista una torre centrale M che è la mente, un cerchio di mura intermedie E che rappresenta il nucleo emozionale, in senso laico l’anima, e il soma o corpo F nelle mura periferiche. Secondo questo modello la malattia (fisica) è un aspetto di esteriorizzazione esterna per impedire ai nuclei più interni (M e E) di ammalarsi. Esiste una tendenza centrifuga, un meccanismo di difesa intrinseco all’uomo, che porta la malattia dall’interno verso l’esterno. Naturalmente esiste una gerarchia dei sintomi. A livello fisico una patologia della pelle (es. un eczema) è meno grave di una patologia del polmone (es. bronchite), che a sua volta è meno grave di una cirrosi epatica, la quale è meno grave di un’insufficienza tricuspidale. A livello emozionale una leggera ansia è però meno grave di una depressione ciclotimica. A livello mentale una difficoltà di concentrazione è meno grave di un disorientamento tempo-spaziale in cui non so più dove sono, in che anno vivo, sono cioè in una fase psicotica o demenziale.
Il problema è che in questo modello esiste un modo di pensare che comunque serve sempre a proteggere la mente dalla patologia (tutto ciò che sta a livello F ed E serve a proteggere e scaricare il livello M). È probabile però che questo sia un modello fallace, perché conferisce ancora preminenza e predominanza alla mente razionale su tutto il resto del campo di osservazione. La mente razionale diventa la stanza del tesoro da difendere, che è esattamente quello che dice la nostra cultura: la scienza dice che la mente razionale è il computer che regola tutto il quadro e che governa il corpo attraverso tutta una serie di relazioni. È il paziente che è pieno di ansie, di depressione, di insoddisfazione esistenziale: dal medico vuole solo una risposta a livello fisico, anche perché il medico oggi è in grado di fornire una risposta solo a questo livello. Il medico si occupa del livello F, lo psicologo e lo psichiatra dei livelli E ed M (anche nel campo di intervento sulla patologia esiste una settorializzazione).
Quello che invece noi cerchiamo di fare in Omeopatia è un discorso molto vicino alla psicosomatica: sono la stessa cosa su due piani diversi. Noi cerchiamo di lavorare sui tre piani contemporaneamente: un sintomo, come ad esempio una rigidità artrosica, è riscontrabile nel corpo come rigidità di tutta la colonna; nell’emozionale come rigidità emotiva nei rapporti famigliari e sociali; nel mentale come rigidità di giudizio (persona dogmatica, conservatrice, autoritaria, priva di apertura, estremista). Se noi siamo la stessa cosa su tre piani diversi, in questo caso il senso profondo, l’archetipo, è quello della rigidità (archetypos = residuo arcaico, energia creatrice; es. il latte è un archetipo del materno). In questo modo cerchiamo il principio insostanziale, il principio inconscio, intangibile, che la medicina ufficiale dimentica mirando esclusivamente il campo di osservazione sul rapporto meccanicistico di causa-effetto. Jung, nel tentativo di superamento della visione meccanicistica basata esclusivamente sulla relazione causa-effetto, ha introdotto il principio di sincronicità. Sincronicità significa che un accadimento è legato sì alla simultaneità, ma anche al senso. Esiste un legame comune, assurdo per la mente razionale, ma legato ad una logica intrinseca ad un sistema illogico, quindi dell’inconscio. Esiste cioè un senso profondo dell’accadimento anche nell’intangibile e senza nesso causale apparente; esiste infatti una causa diversa, più profonda, sovramentale.
Possiamo allacciarci alla fisica e paragonare le manifestazioni psicologiche e biologiche agli effetti del “campo”, inteso come una specie di tensione che può esistere nello spazio vuoto in assenza di materia. Esso si rivela dal momento che gli oggetti materiali che si trovano nel suo spazio reagiscono alle forze del campo in modo caratteristico (la risposta varia in funzione del tipo di campo e delle caratteristiche dell’oggetto). Quello che si intende sottolineare è che il campo è un’entità trascendentale, non osservabile direttamente, che noi possiamo conoscere solo attraverso il comportamento degli oggetti su cui esso esercita un’azione. Così ogniqualvolta sorge un campo di significati nel corso dell’esistenza o, potremmo meglio dire, quando il corso della vita di una persona attraversa un campo di significati, tale campo si manifesta mediante eventi a vari livelli (es. psiche e soma), ciascuno dei quali dà espressione secondo una modalità caratteristica allo stesso fattore formativo. Tornando all’esempio di prima, potrà essere una rigidità mentale che investe il campo E e il campo F, ma non è più una rigidità che parte da M e investe il resto dei campi. È una rigidità che sincronicamente investe l’unità psicosomatica dell’uomo. È profondamente diverso da una medicina psicosomatica che trova o nella mente o nel corpo un capro espiatorio. Allora diventa o somato-psichica o psico-somatica: esiste sempre una mezza parte della parola che è scritta in modo diverso. Ad esempio: un paziente tumorale è depresso. Perché è depresso? Qual è la spiegazione ufficiale? La somatopsichica risponde: perché c’è il tumore. La psicosomatica invece risponde: gli è venuto un tumore perché era depresso da vent’anni. Questa non è medicina olistica. È fondamentale che noi non ci dimentichiamo mai di osservare l’unità vera del paziente. Al medico oggi il nucleo emozionale del paziente non interessa assolutamente, anzi spesso ignora addirittura che questo nucleo esista. E questo perché il medico è ormai diventato un esecutore burocratico di ricette o di esami diagnostici. La cosa fondamentale per il medico è il livello diagnostico: la diagnosi gli permette di agire con un protocollo terapeutico.
Alla medicina ufficiale oggi non interessa andare in profondità nella cosa. Non sto parlando della figura di medico veramente attenta, sto parlando della maggioranza degli operatori sanitari. Allora a questo punto l’anima non interessa perché non rientra nell’ambito soggettivo dell’osservazione e dell’esperienza nel campo del reale; nel momento in cui si sviluppa un metodo oggettivo di indagine l’anima non esiste più, il sentire soggettivo rispetto ad una situazione oggettiva non può più esistere. L’anima è diventata campo del teologo, del prete, di una certa classe di psicologi. Scrive James Hillman: “La moderna visione dell’uomo e del mondo ha finito per incapacitare la nostra immaginazione. Essa ha dettato il nostro modo di vedere la persona (psicologia), la follia (psicopatologia), la materia e gli oggetti (scienza), il cosmo (metafisica), e la natura del divino (teologia). Non solo, ha dettato anche i metodi di tutte queste discipline, le quali così ora presentano un fronte unico contro l’anima. C’è stato chi, disperato, si è rivolto alla stregoneria, alla magia e all’occultismo, agli stupefacenti e alla pazzia, disposto a tutto pur di riaccendere l’immaginazione e trovare un mondo infuso d’anima. Ma queste nozioni non sono sufficienti: ciò di cui abbiamo bisogno è una revisione radicale, un fondamentale spostamento di prospettiva che ci faccia uscire da questo pericoloso stato di assenza d’anima che chiamiamo coscienza moderna”.
È fondamentale, in questa divisione, recuperare una vera unità dell’essere. Non a caso nelle culture arcaiche, in tutti i rituali la perfezione e l’unità sono rappresentate dalla figura geometrica del cerchio. Partiamo allora dall’uomo come se fosse questo cerchio tripartito in modo esattamente paritario, in cui ogni spicchio sia pari all’altro. Non avremo quindi uno spicchio che è il corpo (F), uno spicchio che è il nucleo emozionale (E) e uno spicchio che è la mente (M); in ogni livello ci sono chiaramente delle gerarchie, ma non è vero quello che sostiene il vecchio modello e vi faccio un esempio concreto in psicosomatica simbolica (simbolo, dal tedesco “sin bild” equivale al senso profondo dell’immagine).
Consideriamo ad esempio una psoriasi generalizzata grave. Secondo il vecchio modello questa malattia si esprime con un sintomo banale, il sintomo più superficiale che ci possa essere nei tre livelli, è solo pelle. Invece la pelle simbolicamente rappresenta il confine, il perimetro esistenziale di ogni individuo: l’archetipo della pelle è il confine dentro-fuori, è un limite. Ma se consideriamo questo archetipo e lo proiettiamo sul mentale, che cosa è il limite, il confine, nel mentale? Chi è che non ha più confine, che non ha più limiti? È il matto. Allora si vede che un sintomo apparentemente banale come una psoriasi, se lo consideriamo nel suo valore archetipo, quindi profondo, rappresenta i problemi di confine. Se sopprimiamo questo sintomo con pomate al cortisone, cosa attualmente estremamente probabile, non avendo risolto il problema che coinvolge i tre livelli, rischiamo di “proiettare” il paziente in un analogo processo patologico ad un livello mentale. Cioè, in realtà la psoriasi sarebbe un problema di confine tangibile, è il simbolo che è diventato immagine corporea, è diventato una sorta di geroglifico che, se possiedo gli strumenti idonei, posso cercare di decodificare. In un accadimento corporeo noi vediamo la parte emersa, concreta del simbolo, che però ha anche una parte nascosta che investe gli altri due livelli e che è dello stesso senso analogo. Analogia, “ana-logos”: al di là della logica razionale esiste una logica dell’irrazionale. Ci sono delle cose che l’uomo, così come è strutturato, non può vedere, perché noi comunque siamo legati all’osservazione di un piccolo campo di realtà. Per quanto uno possa aver viaggiato molto non può avere l’idea della galassia, del sistema solare, dell’universo, del cosmo. Può avere un’idea astronomica, ma solo fino a dove l’astronomia ha studiato i sistemi dei pianeti. E dopo? Da qualsiasi parte si osservi il tema esiste una parte inconscia (non scio = non conosco) in tutti i campi di osservazione: in fisica, in astronomia, in medicina, in psicologia, in farmacologia, in ogni scienza.
Facciamo un altro esempio partendo sempre dal corpo, che è il campo di osservazione che al momento ci interessa: un’ulcera gastrica. Qual è il problema dell’ulcera gastrica? È un’erosione della mucosa interna. Ma se abbiamo un’erosione fisica, avrò, nel senso etimologico del termine, un rodimento emotivo e un rodimento mentale, un’erosione a tutti i livelli. Emozionalmente il paziente sarà estremamente aggressivo (l’ulcera è un simbolo di fuoco), perché l’archetipo è si quello dell’aggressività ma negata, negata a causa dell’educazione, delle esperienze, della cultura, che portano a reprimere la parte aggressiva in quanto è stata fatta vivere come sporca, come demoniaca, come qualcosa che si deve reprimere a tutti i costi, poiché non accettabile, per esempio, da una logica bigotta. Spesso nella nostra logica viviamo solo in senso negativo l’aggressività; quando diciamo di una persona che è un aggressivo, abbiamo già un’accezione negativa. È raro pensare in positivo quando si parla di una persona aggressiva. Ma aggressività deriva da ad-grego = andare verso l’altro. Posso andarci con una rosa, con un regalo o con un randello. Ogni cosa è positiva o negativa. L’ulceroso ha soppresso un nucleo di aggressività, ha soppresso lo sfogo delle proprie emozioni, soprattutto di quelle negative, quindi non riuscirà, se una persona lo massacra o gli ruba dei soldi oppure sparla di lui, a tirare fuori la parte di aggressività negativa e negata. È compresso nel suo nucleo emozionale, cioè nel nucleo di fuoco. Non riuscendo ad esprimere questo fuoco, il sintomo corporeo relativo ed analogo è l’erosione della mucosa gastrica. Non è casuale che venga colpito lo stomaco. Lo stomaco è simbolicamente la sede del sentimento, chi ha un problema di stomaco è incapace ad esprimere i sentimenti, non le emozioni.
Ad esempio, Antimonium crudum è un grosso ingordo e ha quindi seri problemi di stomaco, ma è anche un sentimentale, infatti può star male al chiaro di luna. È il giovane Werther. È la luna. A quale segno zodiacale è legata la luna? Al cancro. Qual è l’organo patologico del cancro? LO STOMACO. Se si va a vedere in tutte le culture, in tutte le scienze esoteriche o simili, in un campo di osservazione generale delle scienze, anche in quelle empiriche, non solo oggettive, è possibile ritrovare, se è vero questo modello simbolico, gli stessi simboli in ogni campo. Perché certe popolazioni primordiali tribali mangiano il cuore del nemico ucciso e altre invece mangiano il fegato? Anche questo ha un preciso significato simbolico: chi mangia il cuore vuole appropriarsi dell’anima del nemico ucciso, chi mangia il fegato vuole appropriarsi del coraggio del nemico ucciso. Non a caso si dice di un individuo che “è un uomo di fegato” o che “non ha fegato”: il fegato è legato al coraggio e all’incoscienza di sé, un uomo “di fegato” è anche un “incosciente”. Ad esempio, di un soldato che attacca da solo un bunker si dice ha del fegato, ma in realtà è un incosciente; Riccardo Cuor di Leone è uno che ha lottato per cause ideali ed è passato dalla potenza in atto alla potenza attuata, ma sulla base di idee realizzate attraverso una passione, una fede, un credo: è un livello più alto di evoluzione e di coraggio ed è legato al cuore.
Per tornare all’esempio di prima, l’ulceroso si rode dentro e non riesce ad uscire da una dinamica digestiva di un’idea mentale. Quale è la logica ideale dell’osservazione di un concetto? Si rappresenta una digestione che è fisica, ma evidentemente la digestione è anche un archetipo, quindi se esiste una digestione fisica, esisterà anche una digestione emozionale e mentale. Nell’ambito della digestione mentale si prende un concetto qualsiasi dal mondo esterno e lo si elabora, cioè si comincia ad avere un primo contatto con il concetto; quindi lo si critica in modo grossolano, ma a cosa corrisponderà il processo di critica? Alla masticazione. Infatti chi ha problemi di masticazione ha dei problemi di critica sul piano mentale. Poi l’idea scende nell’esofago mentale e va verso lo stomaco. Lo stomaco è un organo che ha duplice funzione (che lo ricollega nel pensiero analogico e per similitudine con l’utero): quella passiva di ricevere il cibo e quella attiva di scissione degli alimenti attuata attraverso il processo di fuoco degli enzimi che bruciano il cibo stesso. Sempre procedendo sul duplice binario dell’analogia tra processi digestivi mentali e anatomo-fisici, arriviamo alla capacità assimilativa che nel mondo delle idee equivale a riuscire a cambiare, a far tesoro dell’esperienza. Quindi l’assimilazione è un processo che coinvolge la malattia nel suo processo di assorbimento, in ciò che la mente elabora, di conseguenza è il ripetere coatto dello stesso medesimo errore che fa star male e costringe in un vicolo cieco. Pertanto, in un soggetto affetto da ulcera persiste l’incapacità di esprimersi aggressivamente sul piano emozionale; in altri termini si tratta comunque di un individuo aggressivo ma che è negato. A livello mentale l’ulceroso è un rimuginatore, un individuo che ruota sempre sullo stesso concetto, uno che elabora e rimugina sempre le stesse idee, uno che si rode dentro, uno che non riesce a digerire un’offesa.
L’ulceroso che sintomi ha? Dispepsia, pirosi, fermentazione, è uno che non riesce a digerire. Nella metafora del linguaggio userà espressioni tipo “non riesco a digerire mia suocera”, “la politica non mi va giù”. Il linguaggio del corpo o meglio dell’organo è fondamentale; il linguaggio del paziente psicosomatico è necessariamente un linguaggio psicosomatico. Non è un filtro di osservazione, è l’osservazione, nel senso che siamo necessariamente esseri tripartiti in una unità, per cui l’osservazione psicosomatica è l’osservazione dell’uomo. Siamo noi ad avere una logica distante dalla natura quando, nell’osservazione dell’uomo, lo facciamo o unipartito o bipartito. Ma l’essere è tripartito in quanto essere umano, in quanto essere completo, quindi la medicina olistica, che si propone come medicina alternativa, in realtà è la medicina. Non è infatti accettabile la connotazione di medici “alternativi”. Il medico deve avere questo tipo di concezione, deve averla necessariamente. Ci hanno insegnato a non averla più, ma questa è invece una concezione naturale di osservazione di un fenomeno spontaneo come l’uomo.
Facciamo un altro esempio: l’asma. L’asma si manifesta con una sensazione di soffocamento sul piano fisico. E sul piano emozionale cosa mi succederà? Sarò soffocato nelle emozioni! L’archetipo è dunque il soffocamento, e non a caso le teorie psicoanalitiche mettono in evidenza come in un soggetto asmatico vi sia una madre “soffocante”. Il medico deve dare a tutto ciò un senso compiuto, deve trovare un legame organico dinamico e non statico; tutto deve avere una movenza e un significato più ampio, il mondo è in movimento e noi non possiamo non essere come il mondo, anche noi siamo in movimento e quindi in continua evoluzione interna. Il medico ha semplicemente il compito di portare l’uomo in una interazione attiva, armonica ed equilibrata tra questi tre livelli, in modo paritario. Per fare ciò deve combattere con la propria logica interna che è una scatola nera difficilmente scrutabile, perché ognuno di noi ha le proprie incertezze e insicurezze. In realtà cosa fa l’uomo attraverso le scatole nere? Combatte la paura della morte e della malattia, che è l’anticamera della morte. L’uomo ha sempre bisogno di sicurezza: i dogmi religiosi, ad esempio, aiutano a combattere la paura della morte, danno una logica alla morte. La logica però non è solo religiosa, può anche essere filosofica, oppure è quella del medico che non accetta più la morte e la malattia come parametri. Ma, se è vero questo, la malattia non è più nemica da abbattere, da sconfiggere.
Abbiamo tutti presente quel manifesto pubblicitario per la ricerca sul cancro, in cui al posto del microscopio c’è una pistola. Questo esprime chiaramente la logica della medicina ufficiale rispetto alla malattia: “aiutaci a sconfiggere il cancro”, sconfiggere, come se io lottassi con un nemico, come se il cancro fosse qualcosa di esterno all’uomo. Si creano capri espiatori esterni in ogni situazione, è la stessa logica per cui se abbiamo dei problemi è colpa di nostra madre, di nostro padre, della società, dell’ambiente, noi non c’entriamo mai, non siamo mai responsabili di nulla. Questa è la logica che sottende al principio medico-sanitario e al paziente stesso. È una logica di non-crescita, è la logica del rimanere bambini, di non evolvere mai, perché comunque evolversi costa fatica, perché comunque costa lo spazio del conflitto, costa la sofferenza del conflitto e del guardarci senza maschere allo specchio. Questo costa a tutti, l’evoluzione è a scatti, ma lo scatto significa sofferenza, significa disagio interiore, significa ansia, oppure somatizzazione.
Nella medicina convenzionale si va sempre più verso la spersonalizzazione del malato, si utilizza il numero di un letto invece del nome e del cognome, l’esame strumentale è sempre più ipercritico, sempre più portato al piccolo, però manca una logica generale. All’inizio ci chiedevamo come potevamo aiutare il paziente a tirarsi fuori dalla sua logica e ci siamo arrivati attraverso la psicosomatica simbolica. Questo però voleva dire agire solo attraverso una logica di parole (lo strumento principale era la parola), cioè si doveva agire con un simbolo verbale, gestuale o comportamentale che divenisse il farmaco del paziente. Il vero strumento è nella medicina omeopatica. Noi dovremmo riuscire, quando ci troviamo di fronte ad un paziente, a legare i suoi sintomi fisici con quelli emozionali e mentali, per arrivare a dare un senso comune. Ad esempio, se un paziente dirà che ha paura a parlare in pubblico, dovremo chiederci cosa significa parlare in pubblico oltre all’esporsi: è la comunicazione. Il simbolo spiega tutto, il simbolo non si arresta mai, non è mai privo di spiegazione, ma spesso non si hanno gli strumenti per decifrarlo, però più si diventa esperti, più si riuscirà ad interpretare i simboli profondi.
Qual è la grandezza dell’Omeopatia? È il fatto che offre concretamente la possibilità di agire con una sostanza unica (unicismo) contemporaneamente sui tre livelli. Torniamo all’esempio di Antimonium crudum che, per gli omeopati che non hanno una visione olistica, è semplicemente l’indigestione dell’ingordo. Esaminiamo un caso di un bambino Antimonium crudum con ipercheratosi delle estremità. Antimonium crudum è un rimedio cardine delle callosità cutanee: tutte le dita del bambino erano callose, con una ipercheratosi di mezzo centimetro si spessore fino a metà palmo, sul dorso e sui piedi. Cercando sul repertorio questo sintomo sotto la voce callosità, si nota che uno dei farmaci al 3° grado è Antimonium crudum. Il passo successivo era il verificare se sul piano emozionale il paziente poteva essere Antimonium crudum. Innanzitutto tendeva all’obesità, altra caratteristica di questo rimedio (che abbiamo visto essere un ingordo). Chiedendo come fosse il rapporto con il cibo, è emerso che questo era il vero problema (il fulcro è stato toccato ma in modo analogico ed irrazionale, dal momento che non c’era un rapporto causale stretto tra la callosità e il cibo). Si doveva quindi cercare di impartirgli una disciplina alimentare, anche se non si poteva certo pensare di risolvere tutto con questi metodi causalissimi. Si è passati allora ad analizzare il rapporto del bambino con la luna, perché Antimonium crudum aggrava con la luna piena. Tutti i sintomi rientravano in un simbolo comune: questo bambino era talmente sensibile che, per corazzarsi dalla sua sensibilità, estremizzava (erano colpite le estremità) con una corazzatura fisica. Aveva bisogno di corazzarsi, stava diventando tutto calloso perché la sua anima così sensibile doveva essere in qualche modo riparata, difesa, corazzata appunto.
Somministrando il rimedio omeopatico si agisce direttamente al centro del sistema, cioè sulla vis vitalis, sul principio di forza vitale dell’individuo che, contemporaneamente, riverbera in modo sincronico sui tre livelli. Non ci può essere un miglioramento dato da Antimonium crudum, senza che lui impari dentro di sé ad essere quell’essere emozionale, timido e sensibile che è. Dovrà accettarlo già adesso per armonizzarsi nel proprio interno. Il tentativo dell’Omeopatia è quello di riportare alla natura del Sé o dell’Io profondo (Sé Junghiano), l’Io sociale, l’Io quotidiano, l’Io periferico, l’Io superficiale, tutto quello che noi crediamo di essere, ma che invece ci è stato dato dalla cultura e dall’educazione, sono parametri mentali e non emozionali. L’emozionale è una fase mercuriale che ci consente di andare dalla terra al cielo. Se assegniamo altri simboli ai parametri di base di cui stiamo parlando, la terra è il corpo (la terra è materia, la posso toccare), mentre il cielo è la mente (non la posso toccare). Qual è il tramite tra la mente e il corpo? È la fase mercuriale, è Mercurio il messaggero alato, sono le emozioni che permettono di connettere e fanno da collante tra le due parti in modo dinamico. Laddove si sopprime, si reprime il nucleo emozionale, abbiamo dei problemi di collegamento tra la terra (il corpo) e il cielo (la mente). In Omeopatia si toccano simultaneamente, in modo sincronico i tre livelli.
Tornando ad Antimonium crudum, è un rimedio che spesso a lungo andare, a seguito di aggravamento della soppressione emozionale, può andare verso la psicosi. Sogna teste mozzate: anche i sogni hanno un senso. Il problema, infatti, è che si sta arroccando sul mentale e il suo inconscio, attraverso i sogni di teste mozzate, gli sta offrendo la soluzione: solo attraverso il taglio della testa, sede della mente razionale, può risolvere il suo caso e attraverso il taglio della testa può ritornare a quel sangue che sgorgherebbe dall’emorragia carotidea. Esiste un modo rigido e uno meno rigido di fare Omeopatia. Alcuni omeopati sostengono che un individuo rimane la stessa sostanza per tutta la vita, qualsiasi cosa gli accada. Altri ritengono che le esperienze della vita possano modificare l’individuo, il suo modo di rispondere all’ambiente e quindi il suo simillimum. Capire qual è il problema che ci ha portato verso la malattia può essere sufficiente. Ci sono infatti due livelli: capire e comprendere. Il “Capire” è legato all’intelletto razionale, alla causa e all’effetto (capisco come il virus entra nel genoma cellulare, capisco qual è il meccanismo immunitario del lupus, ecc.); il “Comprendere”, invece, deriva da cum prebendo, che significa “prendo con me” e questo ha a che fare con l’intelligenza del cuore, è una cosa che sento ma che non necessariamente posso razionalizzare. Ad esempio, si potrebbe conoscere una persona bellissima che si presenta bene, che è molto elegante, simpatica, realizzata e che tutti stimano, ma che a noi non piace. Non sappiamo spiegare perché, ma non ci piace. Viceversa si potrebbe incontrare un’altra persona che sembra un disperato, un fallito, tutti ne parlano male, eppure in grado di generare istintivamente una forte simpatia che ci spinge a conoscerlo meglio. La prima sensazione è quasi sempre quella giusta ed è quella guidata dal cuore.
È giusto capire e portare a livello della coscienza la comprensione del simbolo, ma in realtà non sempre questo è un atto positivo (si può avere coscienza di essere un timido, ma più ne abbiamo coscienza e più siamo timidi). La coscienza non sempre significa risoluzione del problema, anzi spesso è causa di maggior sofferenza. Il medico sembra essersi dimenticato una cosa fondamentale: rappresentare un essere umano con le proprie emozioni, le proprie raffigurazioni e rappresentazioni interiori simboliche, per cui è fondamentale che si ricordi di tendere all’equilibrio perché, al momento del confronto con il paziente, non dovrebbe avere troppi conflitti irrisolti in quanto rischierebbe di proiettarli sull’altro. Il compito del medico sta nell’aiutare il paziente a ritrovare la propria unità, ovvero a tendere all’equilibrio. Il problema attuale di molti colleghi omeopati è la volontà di giungere a tutti i costi alla comprensione dell’essenza di ogni rimedio, partendo da un gruppo ristretto di sintomi caratteristici (Sindrome minima di valore massimo). In questo tipo di operazione può purtroppo succedere che, se da un lato l’interpretazione di un gruppo di sintomi ben analizzati può sembrare caratteristica di un determinato rimedio, dall’altro può accadere che l’osservazione della manifestazione sintomatologica totale del soggetto non coincida più con l’immagine di quel rimedio che conosciamo dallo studio delle materie mediche o che questa sia addirittura apparentemente antitetica al suo assieme “energetico”. È forse per questo motivo che negli ultimi tempi abbiamo assistito al fiorire, in ambito omeopatico, di settarismi pseudo filosofici, teologici e astrattivi di varie “parrocchie” che prendono per veri ed importanti, sia per comodità, sia per aver dato ad essi una interpretazione e valenza “forzata”, sintomi di valore relativo e assolutamente inconsistenti della sostanza in esame.
A differenza di tutto ciò, la “LOGICA” del SIMBOLO è una logica globale, olistica, e, a patto che la “decodificazione” simbolica sia corretta, essa ha sempre un effetto altamente unificatore. Dall’altro lato, in una disciplina scientifica che tale ancora non è, abbiamo visto proliferare tutti gli pseudo esoterici che hanno lucidamente o inconsciamente intravisto e riversato in questa scienza, così avversata e non ancora identificata, la proiezione della propria disidentità, così da farla assurgere a propria e unica possibilità di riscatto col mondo, avallando con essa le proprie frustrazioni, le paranoie o talvolta le più gravi nevrosi di depersonalizzazione. Questo mio commento vuole solo essere un contributo per fare chiarezza in un “sottobosco” in cui non si riconoscono più i rumori di fondo naturali, tanto è popolato di energie perverse, più o meno “sublimi” o altro ancora. Il mio giudizio non è e non vuole essere un attacco provocatorio perché non credo più di tanto alla forza delle parole, ma sicuramente a quella dei fatti, e questo piccolo scritto è la riprova di questa mia scelta. Pertanto, dopo questa necessaria prefazione, in accordo a quanto mi sono riproposto, vorrei spiegare i capisaldi di questo mio metodo di approccio alla comprensione del rimedio omeopatico.
Io mi occupo di SIMBOLISMO, (dal greco SYMBOLON: legare con, mettere assieme) e ritengo che esista un filo conduttore nelle cose che ci accadono personalmente, così come in quelle della natura o nelle malattie. Praticando l’agopuntura, che è una terapia fondata su assunti TAOISTI, ho trovato, per mia fortuna, molte risposte sulla relazione sottile che collega il microcosmo dell’uomo alle correnti energetiche macrocosmiche. Questa consapevolezza mi è stata molto utile per comprendere come le scienze antiche (e tra queste quelle che ancora ci tramandano e ci insegnano qualcosa) siano tutte di natura simbolica. Ciò significa che c’è un profondo legame tra le varie cose del creato. È come se un “qualcosa” che noi osserviamo riverberasse di sé su tutta una serie di piani energetici, anche apparentemente molto distanti, con la sua nota, con la sua voce. Questo “qualcosa” che attinge la forza dall’archetipo di fondo, (greco ARCHETYPON da ARCHE: principio, TYPOS: forma o modello da cui: impronta arcaica) è il SIMBOLO (quello che unisce). Allora ecco che UTERO - CAVITÀ - GROTTA - DONNA - MATERNO - CONTENENTE - BORSA - SANGUE - MESTRUAZIONI - ACQUA - LUNA - MAREE sono in realtà aspetti differenti della stessa energia che è il FEMMINILE.
Se è vero che un archetipo può esprimersi nel corpo (in blocco o in eccesso) attraverso i sintomi, allora anche una sostanza sperimentata sull’uomo può avere tutta una serie di modalità che possono manifestare simbolicamente l’archetipo nel suo soma e nella psiche. Questa è l’idea che mi ha affascinato quando ho scelto di scrivere questa mia interpretazione, e che prima ancora, mi aveva “catturato” nel mio modo di osservare il malato e la malattia. Il mondo della psicologia analitica di Jung e di altri scritti di allievi e psicologi del profondo post-Junghiani hanno profondamente influenzato il mio lavoro, anzi mi ha offerto una nuova possibilità: quella di COGLIERE IL LEGAME SIGNIFICATIVO tra le varie parti di UN TUTTO per poi poterle organizzare in una logica dell’inconscio, dell’invisibile.
Il concetto di SINCRONICITÀ JUNGHIANA, cioè di eventi che avvengono simultaneamente legati dal senso comune, è quello che permette di cogliere nella manifestazione delle energie di fondo, l’unione sottile tra le varie parti. Se è vero che possiamo parlare di una UNITÀ nel mondo, allora un insieme non può essere destrutturato razionalmente per spiegare in modo analitico solo quella singola parte. Ciò equivarrebbe a perdere l’oggettività dell’osservazione. Ricordo a tal proposito la bellezza e la “morale” della fiaba SUFI sull’Elefante. A tanti allievi bendati il maestro faceva toccare le parti di un Elefante (senza che questi avessero la benché minima idea sull’oggetto!) chiedendo poi loro di descrivere l’animale. Ognuno aveva da riportare la sua verità, ma questa era sempre parziale, relativa e falsa per ciò che concerneva la descrizione della TOTALITÀ, ma pur vera nel piccolo della singolarità e parzialità recepite. Allo stesso modo noi corriamo questo rischio quando descriviamo il cosiddetto “nucleo” o essenza dei rimedi; quando analizziamo solo un sintomo o un gruppo astratto di essi. Il simbolo invece, se l’interpretazione è stata eseguita in modo corretto, ci permette di cogliere il fenomeno in una logica più ampia e vibrante di presenza. Il mio metodo, ma è presuntuoso in effetti definirlo “mio” perché altro non è che la risultante ANALITICO - SINTETICA di molti lavori già eseguiti da altri, tiene conto di ogni singolo sintomo in una visione legata dalla COMUNANZA di SENSO.
I sintomi da prendere in considerazione per ogni rimedio, sono stati scelti nel capitolo della mente, dei sogni e dei sintomi generali, in quanto l’omeopatia moderna è arrivata, da più direzioni al mondo, a comprendere che per trovare il SIMILLIMUM è necessario lavorare sullo “STATO CENTRALE” che è il vero motore, il regista occulto di ciò che poi si somatizza nel corpo. La manifestazione di sintomi possiede un proprio linguaggio, un suo peculiare idioma, che deve essere “decifrato” e decodificato. In questa chiave di lettura la malattia è il linguaggio della sofferenza dell’anima; anima intesa come filtro emozionale tra la mente razionale e il corpo fisico. A mio avviso ciò può essere fatto attraverso la logica dei simboli. Immaginiamo ora di trovarci di fronte ai simboli grafici egiziani se non fosse stata trovata la “stele di rosetta”! Il metodo utilizzato in questa Materia Medica Simbolica è un intreccio tra l’analisi accurata dei singoli sintomi di un determinato rimedio e la SINTESI INTERPRETATIVA del legame tra le parti considerate (i simboli svelano celando e celano rivelando).
A volte si deve fare appello alle proprietà fisico-chimiche di una sostanza per comprenderne i meccanismi più reconditi sul piano analogico perché, se una cosa è vera ad un livello alto energetico-spirituale, lo deve essere anche a livello più basso, quello più grezzo della materia. È un continuo rimbalzo tra la logica energetica pura e il mondo della materia, ciascuna con le proprie leggi, paradossi e metafore. È come se il Dio Ermes ci conducesse, in una sorta di movimento a mantice tra l’alto e il basso, tra il mondo degli Dei o delle Energie e quello grezzo, apparentemente meccanico, dell’uomo. Per fare ciò mi sono servito di un sistema informatico, a mio avviso necessario e fondamentale per l’omeopatia moderna: il software SYNTHESIS che è un ampliamento del repertorio di Kent utilizzato in connessione con il programma RADAR SYNTHESIS contiene aggiunte verificate più volte dalla letteratura omeopatica di autori quali Kent, Hanhemann, Hering, Allen, Clarke, Boericke, Knerr, ecc. Lavorare con questo metodo ci consente di avere a disposizione nel nostro quotidiano, di molte più “cartucce”, cioè di molti più farmaci e rubriche nuove che raggruppano molte più sostanze e sintomi nuovi rispetto ad un solo repertorio. Per scegliere il simillimum, in coerenza con quanto scrivevo sopra, uso il metodo dell’OMEOPATIA PURA, lievemente modificato, di Carrara e Candegabe.
Per poter spiegare a tutti, anche a coloro che non sono in possesso del software sopra descritto, ho operato un’estrazione dei sintomi delle tre rubriche fondamentali (Mente, Sogni, Sintomi Generali) di 1°, 2°, 3° e 4° grado, cercando di fotografarne l’essenza, la DINAMICA D’INSIEME del RIMEDIO. È questa un’operazione di analisi dei sintomi molto lenta e noiosa, ma obbligatoria se si vuole avere lo “SPETTRO PROFONDO, L’ANIMA DI UN RIMEDIO”. Per questo primo lavoro ho scelto diciannove rimedi su cui avevo già lavorato in precedenza, e altri due di cui mi è stata chiesta l’interpretazione simbolica da parte di amici. A questo tentativo di materia medica simbolica, ne seguiranno altri. La prossima sarà sviluppata in maniera più organica sui veleni del mondo animale e poi ancora su altre sostanze raggruppate per affinità. Un altro pensiero che mi coglie è quello di scrivere “a tema”, scegliendo ad esempio i rimedi ad impronta RELIGIOSO-MISTICA, oppure quelli PSICHIATRICI, o ancora quelli totalmente MATERIALISTI. È un metodo analitico-sintetico, apparentemente elementare, ma profondo, accurato e unificante. È necessario avere l’estrazione completa dei sintomi repertoriali del rimedio che si desidera analizzare, una serie di testi sul simbolismo, una buona enciclopedia di cultura generale, alcuni libri di chimica, una buona conoscenza per “l’interpretazione simbolica” e una soddisfacente dose di concretezza e ... il lavoro è fatto! Tra qualche anno, se il lavoro che andrò facendo potrà interessare altri colleghi, mi impegnerò a organizzare una materia medica simbolica per ordine alfabetico, quindi di più facile consultazione. Sarò molto ricettivo a consigli e a collaborazioni con tutti voi.
Dott. Levio Cappello
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