Vincent Van Gogh e il dott. Gachet: l'incontro dell'artista con l'Omeopatia
Categorie: Storia dell'Omeopatia
Autori: Anna Fontebuoni
Fonte: Il Granulo
Vincent Van Gogh, Ritratto del Dottor Gachet, 1890
Vincent Van Gogh e il dr. Gachet: l'incontro dell'artista con l'omeopatia, dopo un lungo e sofferto pellegrinaggio da un medico all'altro, Vincent Van Gogh incontra il dottor Paul Ferdinand Gachet. Van Gogh è appena uscito da una casa di cura per malattie mentali, dove gli sono state diagnosticate crisi nervose epilettoidi, ma soffre anche di disturbi cardiaci e gastrointestinali. Nessuna cura è riuscita a migliorarli. Inoltre, lui non è di certo definibile come un paziente ideale: sregolato, vuol cambiare continuamente terapia, ha da discutere su tutto. Soffre di pica.[1]
Spesso e volentieri ingerisce i colori con i quali dipinge e la trementina con cui li diluisce. E poi è un forte bevitore di assenzio, distillato alcolico al 70-80% di artemisia e altre erbe aromatiche. Sembra che sia proprio l'abuso di questo liquore, oltre alla terapia a base di santonina per i disturbi digestivi, a provocargli una visione del mondo prevalentemente in giallo (il termine medico è xantopsia). Qualcuno dice poi che gli aloni colorati che dipinge intorno alle luci siano sintomi di un glaucoma non diagnosticato.
Su consiglio dell'amato fratello Théo, prova di nuovo a cercare rifugio nella medicina, ma questa volta si rivolge ad un medico che pratica la 'medicina complementare': il dottor Gachet.
Il dottor Gachet è un medico generico specializzato in malattie nervose, nuova frontiera della scienza medica di quei tempi. Da uomo curioso e dai molti interessi, è entusiasta delle nuove terapie: l'elettroterapia, la radioterapia, la fisioterapia, la metalloterapia e soprattutto l'omeopatia. Seguace dei movimenti igienisti, si è rifugiato ad Auvers-sur-Oise, un borgo rurale a 30 km da Parigi, dove divide il suo tempo fra lo studio e l'esercizio pressoché gratuito della medicina omeopatica e non, e i suoi interessi d'artista e amico di pittori impressionisti: Cezanne, Pissarro, Renoir e altri, che ospita in casa sua. FraVan Gogh e Gachet nasce un rapporto di grande empatia, sia sul piano artistico sia su quello medico. «Simpatico, - scrive Van Gogh al fratello - ma disturbato quanto me...».
Gachet diagnostica a Van Gogh una 'malattia mentale circolare' o psicosi maniaco-depressiva, e consiglia una 'arteterapia' ante litteram. Così il grande artista, ad Auvers, si butta a capofitto nella pittura e dipinge più di un quadro al giorno. Campagne assolate, contadini al lavoro, ma anche la casa e il famoso giardino del dottor Gachet dove lui coltiva le piante con cui prepara tinture madri e medicamenti omeopatici: l'aconito, la belladonna, la camomilla, la brionia, la digitale... Proprio con questa il medico si propone di curare omeopaticamente l'artista, secondo la legge della similitudine. La digitale è uno dei migliori esempi di casi in cui la medicina allopatica fa dell'omeopatia senza saperlo. Piccole dosi di questa pianta velenosissima, ritenuta a torto solo un rimedio cardiaco, risolvono disturbi che interessano molti organi: dal cuore (rallentamento cardiaco), all'apparato digerente (intossicazione), agli edemi e stasi polmonari e renali, alle affezioni nervose e soprattutto oculari (glaucoma). La stessa psiche del malato Digitalis purpurea è caratteristica di un intossicato cronico: ansia, tristezza, mancanza di volontà. Nel giugno del 1890,Van Gogh dipinge due ritratti del medico. Su uno sfondo astratto, lo rappresenta in atteggiamento pensieroso «l'espressione triste della nostra epoca»; ricordiamo che la tesi di laurea di Gachet era stata proprio sulla melanconia. In primo piano due fiori di digitale, che rappresentano la fiducia nelle proprietà terapeutiche della medicina naturale.
Ma la breve terapia omeopatica, il tentativo di recupero salutistico, l'ottimo rapporto basato sulla fiducia reciproca, non bastano ad evitare la crisi. Il 27 luglio dello stesso anno, a 37 anni, Vincent Van Gogh si spara un colpo di fucile al petto. Il dottor Gachet occhi chiari estasiati dall'arte, confusi dalla melanconia di quel paziente dalla sensibilità esagerata, assiste alle ultime ore dell'artista, impotente davanti alla tragedia.
Note:
[1] Pica: pervertimento dell'appetito che consiste nel desiderio di mangiare sostanze non commestibili.
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