Il senso del lutto negli animali e i rimedi omeopatici utili alla sua elaborazione
Categorie: Omeopatia per Animali
Autori: Silvia Ruini
Fonte: Il Medico Omeopata - Rivista
Fin dai tempi di Charles Darwin gli scienziati discutono accanitamente intorno alla capacità degli animali di manifestare emozioni oltre a quelle associate alle cure parentali o comunque legate alla sopravvivenza e alla riproduzione. Darwin pensava che, dati i legami evolutivi tra l’uomo e gli altri animali, molte emozioni dovessero essere simili fra le varie specie: ad esempio riconosceva alle scimmie dolore e gelosia, insieme al piacere e al fastidio. In seguito però l’attribuzione di queste emozioni agli animali ha perso progressivamente i favori della comunità scientifica.
INDICE
- Materiali e Metodi
- Clinica
- Risultati
- Discussione
- Conclusioni
- Bibliografia
All’inizio del XX secolo regnava ormai il paradigma comportamentista, secondo cui era possibile studiare con rigore solo il comportamento osservabile degli animali, non la loro vita interiore. Un po’ alla volta, però, l’accettazione delle emozioni degli animali è riapparsa nella comunità scientifica soprattutto grazie ai resoconti di antropologi e zoologi impegnati in studi sul campo di mammiferi dal cervello più sviluppato. Jane Goodall, etologa e antropologa inglese, dalla Tanzania riferiva, con ricchezza di commoventi dettagli, il declino e la morte per dolore di Flint, un giovane scimpanzé, nel giro di qualche settimana dalla morte della madre Flo (1).
Cynthia Moss, ricercatrice e scrittrice americana, dal Kenya raccontava come gli elefanti si prendono cura dei compagni morenti e organizzano per loro una vera e propria veglia funebre, radunandosi intorno al corpo del compagno e toccandolo a turno con la proboscide, con gli occhi spenti e le orecchie abbassate. Anche le ossa degli elefanti deceduti costituiscono per loro un forte oggetto di interesse, in quanto tornano più volte ad ispezionarle e ad accarezzarle con la proboscide.
Un esempio particolarmente convincente di lutto fra gli elefanti venne descritto nel 2003 dal gruppo coordinato da Iain Douglas-Hamilton, dell’organizzazione Save the Elephants, nella riserva nazionale Samburu, in Kenya: quando Eleanor, un’anziana matriarca in stato di agonia collassò a terra, Grace, la matriarca di un’altra famiglia, andò immediatamente in soccorso, usando le zanne per aiutarla a rimettersi in piedi e rimase con lei per almeno un’ora cercando più volte di aiutarla a rialzarsi; poi Eleanor morì e nel corso dell’intera settimana successiva, le femmine di cinque famiglie di elefanti mostrarono un forte interesse per il suo corpo, dondolandosi avanti e indietro accanto a esso e dando colpetti e spinte con la proboscide o con le zampe al cadavere (Fig.1).
Douglas-Hamilton concluse che gli elefanti manifestano una “risposta generalizzata alla morte” ovvero si addolorano non solo per la perdita dei parenti stretti ma anche per gli individui di altre famiglie (3).
Anche i cetacei sembrano esibire una risposta generalizzata alla morte. Nel 2001 alle Isole Canarie Fabian Ritter della Mammal Encounters Education Research ha osservato una madre di steno, o delfino dai denti rugosi, spingere senza posa con il muso e le pinne pettorali il corpo del suo piccolo morto, ripulendolo dai pezzi di pelle morta corrosa dal sole. E non era da sola: in certi momenti era scortata da due adulti che nuotavano in sincronia con lei, e in altri momenti un gruppo di almeno 15 delfini modificava i suoi spostamenti per includere la madre e il piccolo morto. La perseveranza della madre fu notevole: il quinto giorno, quando cominciò a dare segni di stanchezza, gli individui che le avevano fatto da scorta si unirono a lei sostenendo il piccolo sul proprio dorso (Fig.2) (4).
Ma è forse quando si parla dei nostri “parenti” più prossimi, le grandi scimmie, che si osservano i comportamenti più sorprendenti. Come nel caso di Dorothy, una femmina di scimpanzé morta nel 2008, all’età di 40 anni, presso il Sanaga-Yong Chimpanzee Rescue Centre, in Camerun. Il primate era molto popolare e gli altri membri del gruppo, mentre il suo feretro veniva trasportato verso il luogo di sepoltura, si sono radunati in massa vicino alla rete, abbracciandosi e rimanendo in silenziosa contemplazione dell’amica, cosa abbastanza insolita per questi animali, normalmente molto rumorosi.
Alla luce di queste evidenze biologi e antropologi impegnati sul campo hanno cominciato a chiedersi se, e quando, gli animali vivono il lutto. Per studiare e capire la sensazione di pena tra gli animali, gli scienziati hanno bisogno di una definizione che la distingua dalle altre emozioni. Parlare di “risposta animale alla morte” abbraccia ogni comportamento presentato da un individuo in seguito alla morte di un compagno, ma i ricercatori possono pensare seriamente di avere a che fare con un animale in lutto solo quando si verificano certe condizioni: in primo luogo che due (o più) animali scelgano di trascorrere del tempo insieme al di là di quanto richiesto da comportamenti di sopravvivenza come la ricerca del cibo o l’accoppiamento; in secondo luogo, quando uno di essi muore, il sopravvissuto deve alterare la propria routine, riducendo il tempo dedicato a nutrirsi o a dormire, adottando posture o atteggiamenti facciali indicativi di depressione o, in generale, stando poco bene. Sarebbe logico supporre che le specie che hanno una durata più lunga della vita e in cui gli individui si uniscono strettamente fra loro in coppie, gruppi familiari o comunità possano soffrire per la perdita dei propri cari più facilmente rispetto alle altre. I ricercatori tuttavia non conoscono ancora abbastanza il lutto animale per sostenerlo: bisogna mettere alla prova questa ipotesi confrontando sistematicamente le risposte alla morte in una varietà di sistemi sociali, da quelli gregari a quelli in cui gli animali si uniscono solo stagionalmente per cercare il cibo o per l’accoppiamento.
Tuttavia le differenze a livello di specie non esauriscono la questione, perché a complicare le cose ci sono le variazioni nel contesto sociale contingente e nella personalità dei singoli sopravvissuti. Anche le differenze cognitive hanno un ruolo nel lutto animale: così come vi sono diversi livelli di empatia espressi da specie diverse e anche negli individui di una stessa specie possono esservi diversi livelli di comprensione. Ad esempio, mentre talvolta la pratica di consentire ad un soappravvissuto di vedere il corpo dell’animale deceduto sembra prevenire o ridurre il periodo di penose ricerche e vocalizzi, in altri casi sembra non servire a nulla: questo indica che pur all’interno della stessa specie la variabilità della risposta alla morte è individuale. Analogamente, le prove di sofferenza nelle scimmie selvatiche che vivono in gruppi sociali coesi sono finora sorprendentemente limitate, mentre in specie più solitarie come il gatto domestico si possono sviluppare legami individuali così stretti che i loro comportamenti di lutto rivaleggiano con quelli di animali molto più sociali (5).
I futuri studi sul dolore negli animali aiuteranno a migliorare questa definizione, che per ora serve comunque a far progredire la nostra capacità di valutare criticamente le reazioni degli animali alla morte di altri individui.
Materiali e Metodi
Anche se non si sono svolte delle ricerche approfondite sul tema del lutto negli animali da compagnia, uno studio effettuato sui cani dall’American Society for the Prevention of Cruelty to Animals (A.S.P.C.A.) del 1996 intitolato Companion Animal Mourning Project ha messo in evidenza che nelle 160 famiglie reclutate il 36% dei cani mangiavano meno dopo la morte di un compagno, l’11% smise completamente di mangiare e il 63% dei cani emise più vocalizzi del normale o era visibilmente più silenzioso. Lo studio ha evidenziato, inoltre, che oltre la metà degli animali era diventato più affettuoso e attaccato ai proprietari; il 66% dei cani aveva modificato le proprie abitudini quotidiane e cambiato orari e modalità di riposo. Un ulteriore dato interessante fu che tutti gli animali che avevano perso un compagno ritornavano a un comportamento normale nel giro di sei mesi (6).
Secondo l’opinione generale, tra gli animali da compagnia il gatto è sempre stato considerato l’animale più indipendente, che conserva molto della sua natura solitaria e, di conseguenza, è sempre stato ritenuto meno legato ai membri della famiglia o verso animali conviventi. In realtà, come molti proprietari possono testimoniare, molti gatti manifestano un cambiamento del loro comportamento dopo la perdita di un loro compagno. Uno studio analogo al precedente effettuato dall’A.S.P.C.A. su famiglie con gatti ha evidenziato come il 46% dei felini manifestavano segni di depressione e il 70% mangiavano meno, dormivano di più e diventavano più lamentosi dopo la morte di un compagno (7). Anche se secondo l’opinione comune il gatto viene considerato un animale indipendente e solitario e, quindi, meno sensibile alle dinamiche della famiglia, la ricerca ha evidenziato come la reazione alla morte di un compagno può avere forti ripercussioni sul benessere psico-fisico del gatto esattamente come nel cane.
Un recente studio del 2014 di imaging cerebrale appena pubblicato dai ricercatori della Eötvös Loránd University (Ungheria) su Current Biology ha dimostrato che il cane è legato all’uomo da una reale affinità cerebrale, in virtù della quale riesce a processare la voce e comprenderne il contenuto emotivo alla stregua di un essere umano. La ricerca ha visto coinvolti 11 cani (6 golden retriever e 5 border collie appositamente addestrati ma mai forzati durante il test) e 22 esseri umani a cui sono stati fatti ascoltare 200 suoni animali e umani tra cui lamenti, pianti, risate e guaiti mentre uno scanner per la risonanza magnetica funzionale registrava l’afflusso sanguigno al cervello in ognuno di loro, individuando la reazione nelle diverse aree del cervello.
Il risultato è stato sorprendente: in entrambe le specie la reazione riscontrata nelle aree cerebrali, in relazione all’ascolto del medesimo suono, era identica. Anche suoni carichi di emozioni, come il pianto o il riso, hanno indotto risposte simili nelle due diverse specie. È questo, forse, il motivo per cui i cani sono in sintonia con le emozioni umane. L’area del cervello interessata alla reazione uditiva, il polo temporale, usata dall’uomo quando un suono registra un’emozione è situata nella regione più anteriore del lobo temporale: prima di questo studio gli scienziati erano convinti che solo l’essere umano ne fosse dotato, ma ora devono ricredersi. Durante l’esperimento è inoltre emerso che i cani, nell’udire i suoni, si mostravano maggiormente sintonizzati verso la voce umana rispetto all’uomo nei confronti dei suoni canini. Fenomeno spiegabile, a detta degli studiosi che hanno condotto la ricerca, con la familiarità e la millenaria frequentazione del cane con la razza umana che ha reso le specie canine molto sensibili alla voce dell’uomo. «Sappiamo bene che i cani sono molto bravi ad entrare in sintonia con i sentimenti dei loro proprietari» - spiega Attila Andics, della Eötvös Loránd University di Budapest, coordinatore della ricerca - «e sappiamo che un buon proprietario può rilevare i cambiamenti emotivi nel suo cane, ma ora finalmente riusciamo a capire il perché».
Conclude Andics: «Pensiamo che i cani e gli esseri umani abbiano un meccanismo molto simile nell’elaborare le informazioni emozionali e riteniamo che possano condividere questa funzione con molti altri mammiferi» (8). Che ci sia una notevole affinità tra l’essere umano e il cane, il gatto e altri animali da compagnia, è cosa nota. Chi possiede un amico a quattro zampe sa di cosa esso può essere capace: affetto, empatia, fedeltà e comprensione. Ma quando si entra nell’ambito della sofferenza animale il pensiero umano può prendere strade diverse: se il dolore dell’animale è puramente fisico la nostra etica morale esige di porvi rimedio; se la sofferenza viene intesa come il confinamento in canili, centri di recupero o situazioni di disagio, siamo altrettanto sensibili e stimolati a afre qualcosa; ma quando la sofferenza è intimamente legata alla perdita di un compagno di vita (che, spesso, accomuna emotivamente tutta la famiglia di appartenenza) la nostra capacità di interpretare le emozioni animali sembra vacillare.
Questa parziale “cecità” del sentimento umano verso il dolore animale si ripercuote inevitabilmente sulla casistica clinica. Nella mia personale esperienza, sono tantissimi i proprietari che lamentano un disagio del proprio cane o gatto a seguito della morte di un animale convivente o del precedente proprietario, ma difficilmente questo viene percepito come un problema tale da dover cercare una soluzione o un aiuto. Queste testimonianze spesso emergono durante il colloquio per valutare problematiche fisiche di tutt’altra natura (e magari è già passato molto tempo dall’evento), talvolta vengono segnalati come aneddoti nella vita del proprio animale per rimarcare quanto era affezionato a quella persona, ma è molto difficile che un proprietario venga a chiedere un aiuto per far superare al proprio animale questo momento doloroso. Questa “mancanza” potrebbe essere legata alla convinzione che il dolore animale sia inferiore a quello umano, o forse all’idea che il dolore provato sia necessario all’elaborazione del lutto e non debba essere aiutato, o più semplicemente, potrebbe essere dovuta ad un’errata interpretazione dei segnali del proprio animale, spesso confusi con stati di malessere generalizzati non strettamente legati alla perdita. A questo proposito i casi clinici seguenti sono emblematici.
Clinica
CASO N. 1
Laika, cane femmina di 8 anni, meticcio, è stata portata in visita a luglio 2015 per disoressia e atteggiamento apatico. Il problema era iniziato un mese e mezzo prima in maniera quasi improvvisa: era stata visitata da un collega di zona che aveva effettuato alcuni esami del sangue da cui erano emerse le transaminasi un po’ alte (ALT: 120 UI/L; AST: 89 UI/L; ALP:254 UI/L) ma senza altre alterazioni significative; anche l’indagine ecografica non aveva riscontrato particolari alterazioni organiche se non una lieve epatomegalia. A Laika è stata prescritta, quindi, una terapia dietetica specifica (Hepatic – Royal canin) e un integratore a base di Silimarina, MOS e fosfatidilcolina. Dopo un mese di trattamento, Laika non aveva presentato miglioramenti significativi: l’appetito era scarso, mangiava svogliatamente solo i bocconi più gustosi e l’atteggiamento generale era comunque privo di vitalità, letargico; anche le uscite in passeggiata sembravano non interessarle. Il figlio del proprietario di Laika, preoccupato per il progressivo dimagramento è quindi venuto presso il mio ambulatorio per un secondo parere.
All’esame obiettivo generale Laika si presentava leggermente sottopeso ma nel complesso in buono stato generale. Lo sguardo era però spento, sembrava non interessarle quello che accadeva intorno e, finita la visita, si è seduta di fianco al ragazzo in silenziosa attesa. All’anamnesi medica, risultavano un trauma da investimento quando aveva due anni (per fortuna senza conseguenze), alcuni episodi di vomito e diarrea risolti con terapie sintomatiche, qualche problematica di dermatite da pulci ma, nel complesso, Laika aveva sempre goduto di una buona salute. Chiedo al ragazzo di parlarmi di quando Laika ha cominciato a non stare bene e lui parte dicendo «non ricordo esattamente quando ha iniziato perché non le davamo molte attenzioni in quel periodo: purtroppo mio padre è venuto a mancare e, come può immaginare, avevamo altri problemi a cui pensare». Una lampadina si illumina nella mia testa e chiedo di descrivermi il rapporto che c’era tra Laika e il padre. Lui risponde dicendo «Erano molto legati! Mio padre aveva preso Laika quando aveva circa un anno ed è sempre stata con noi in famiglia; anche se l’aveva presa per me era lui che le dava da mangiare, la portava in passeggiata, dal veterinario e lei l’ha sempre visto come il suo vero proprietario: bastava che lui le dicesse qualcosa e lei lo faceva subito, sembrava pendere dalle sue labbra. Alla sera, prima di dormire, lui l’aveva abituata ad avvicinarsi al suo letto per prendere un biscottino che teneva nel cassetto ... Anche adesso lei continua ad andare vicino al suo letto per vedere se qualcuno le dà il biscottino; qualche volta abbiamo provato io e mia madre a darglielo, ma lei lo posa in terra e se ne va come se non le interessasse». Il reale problema di Laika, a quel punto, era chiaro. In base alla repertorizzazione si è scelto di prescrivere Ignatia amara XMK: 5 gocce per bocca 1 volta al giorno per 3 giorni poi 1 volte alla settimana per 4 settimane.
Dopo 15 giorni dall’inizio della somministrazione il figlio del proprietario chiama per aggiornarmi sulla situazione di Laika: già dopo qualche giorno l’espressione degli occhi era cambiata e aveva ricominciato a mangiare con più adepetito. Dopo una settimana ha chiesto volontariamente di uscire in passeggiata e sembrava interessata a giocare con alcuni cani del parco, e «oggi mi ha portato la pallina per giocare... Lo faceva sempre con mio padre!». Chiedo se ha ancora l’abitudine di avvicinarsi al letto del padre e il ragazzo risponde «le prime sere l’ha fatto ma ultimamente non mi pare di averla vista». Consiglio di continuare le somministrazioni come prescritto. Laika, terminata la quarta settimana con Ignatia, non ha avuto più bisogni di nuove somministrazioni, in quanto l’appetito era tornato ottimo e il comportamento si era normalizzato. La risposta alla terapia con Ignatia ha confermato che il malessere di Laika era dovuto non ad un problema fisico ma al dolore per la perdita del proprietario che, purtroppo, non è stato riconosciuto dai membri della famiglia.
CASO N. 2
Oliver, gatto europeo maschio di 4 anni, è stato portato in visita nel gennaio 2015 per uno stato generalizzato di letargia e disinteresse. Avevo già incontrato Oliver un anno prima per una rinosinusite cronica recidivante da herpesvirus contratta da piccolo e aveva risposto benissimo al rimedio selezionato. Le sintomatologia riferita all’epoca (febbraio 2014) era caratterizzata da presenza di abbondante catarro nelle vie aeree superiori con continui starnuti a volte accompagnati da epistassi. Le secrezioni erano mucose di colore giallo-verdastro dall’odore fetido. Le orecchie presentavano una gran quantità di cerume nero pastoso non complicato da parassiti che si riformava in continuazione nonostante i lavaggi con prodotti appositi. A livello caratteriale Oliver veniva descritto come un gatto buono, molto timido e riservato, quando entravano persone nuove in casa fuggiva nell’armadio per poi uscire pian piano per la curiosità. Una volta che aveva preso confidenza con le persone si faceva vedere e toccare ma non amava particolarmente le coccole.
La proprietaria raccontava dello strano vizio di nascondersi ovunque e al buio: dentro all’armadio intanato sotto pile di vestiti, dentro al cesto della biancheria da lavare, sotto alle coperte del letto nel posto più tranquillo della camera, sotto al copridivano in un angolo. Inoltre alla visita presentava un’insofferenza ad essere toccato alla gola. In base alla sintomatologia presentata durante la prima visita era stata effettuata la repertorizzazione ed era stato prescritto Elaps corallinus 200K: 5 gocce per bocca 1 volta al giorno per 3 giorni poi solo 2 volte a settimana per 3 settimane. Dopo due giorni di trattamento aveva iniziato a perdere un’enorme quantità di muco dal naso e dopo tre settimane c’era stata una remissione completa della sintomatologia. Nei mesi successivi due episodi recidivanti di rinorrea e starnuti rientrarono con una singola somministrazione di Elaps. Questa volta Oliver veniva portato per un problema comportamentale: due settimane prima era morto Leon il gatto anziano convivente a cui era molto legato.
La proprietaria riferiva che Oliver, da quel giorno, aveva iniziato a dormire nel posto preferito di Leon e aveva un atteggiamento letargico, spento. L’appetito era pressoché normale, le grandi funzioni organiche inalterate, ma era completamente disinteressato ai giochi con la pallina e agli scatoloni in cui adorava infilarsi per stuzzicare Leon. La proprietaria riferiva: «in generale mi sembra che stia bene, mangia, se vede un uccellino sul balcone lo “punta” come al solito ma nelle attività di casa mi sembra svogliato, dorme molto più di prima e ha un interesse quasi morboso per la cuccia dove stava Leon; prima non l’aveva mai considerata, adesso l’annusa in ogni angolo e poi si addormenta all’interno». Alla visita clinica Oliver risulta in ottime condizioni di salute. La proprietaria continua dicendo «ho l’impressione che sia triste per la morte del suo compagno, ogni tanto ha degli occhi così tristi quando entra nella cuccia…mio marito ride quando gliene parlo ma…secondo lei, è possibile che stia soffrendo per la perdita di Leon?». La mia risposta era scontata.
Utilizzando la prima repertorizzazione e aggiungendo le due rubriche “MENTE - DISTURBI DA - afflizione” e “MENTE–DISTURBI DA – morte di persone care” vedo che Elaps corallinus compare in entrambe le rubriche.
Prescrivo quindi Elaps corallinus XMK: 5 gocce per bocca 1 volta al giorno per 3 giorni consecutivi. La proprietaria dopo una settimana mi aggiorna sulla situazione di Oliver: «mi sembra che vada molto meglio, già dalla seconda somministrazione aveva uno sguardo diverso, più reattivo, come se si fosse sbloccato qualcosa; ha ripreso pian piano a giocare con le palline e sembra che la cuccia di Leon non gli interessi quasi più, ogni tanto l’annusa ma è tornato a dormire nel suo posto preferito dentro l’armadio. Anche lo sguardo mi sembra che si sia rasserenato». Anche in questo caso la risposta positiva al rimedio selezionato conferma che l’omeopatia è un ottimo aiuto nel placare situazioni di forte stress emotivo conseguenti a lutti e perdite non solo in ambito umano ma anche negli animali da compagnia.
Risultati
Charles Darwin disse che i cani manifestano lo stesso dolore che prova l’uomo, rendendolo noto in alcune osservazioni contenute in “The Expression of The Emotions in Man and Animals”. Nonostante non si possa stabilire con certezza se il cane abbia nozione della morte, tuttavia non c’è dubbio che esso possa avvertire la perdita di un compagno e che il suo dolore possa assumere diverse forme. Alla luce dei casi clinici presentati e in base agli studi effettuati sugli animali da compagnia, i comportamenti maggiormente manifestati dal cane possono essere:
- Perdita di interesse e rifiuto del cibo;
- Scarsa vitalità;
- Mancanza di interesse per le attività, mancanza di interesse per il gioco e le uscite;
- Interazioni sociali ridotte;
- Cambiamento nei cicli di sonno, aumento delle ore di sonno diurno, sonno agitato;
- Disinteresse per le attività di toelettatura o, all’opposto, leccamento eccessivo fino a diventare compulsivo;
- Cambiamento delle abitudini quotidiane;
- Aumentato interesse per il luogo in cui dormiva il compagno;
- Linguaggio del corpo chiuso.
Nel gatto i comportamenti anomali più frequentemente riscontrati sono:
- Scarsa vitalità;
- Inappetenza;
- Depressione;
- Aumento dei vocalizzi;
- Aumentato interesse per il luogo in cui dormiva il compagno;
- Perdita di pelo;
- Leccamento compulsivo.
Non tutti però manifestano del dolore in seguito ad una perdita: alcuni soggetti potrebbero notare a malapena l’assenza del compagno ed essere felici di trovarsi al centro dell’attenzione; questo avviene soprattutto se il compagno deceduto era gerarchicamente dominante o dittatoriale all’interno dell’ambiente famigliare.
Discussione
L’elaborazione del lutto, termine coniato da Freud nel 1915, si riferisce al lavoro di rielaborazione emotiva dei significati, dei vissuti e dei processi sociali legati alla perdita della persona con la quale si era sviluppato un legame affettivo significativo. In base all’intensità di questo legame, l’elaborazione del lutto è fortemente soggettivo e può essere di durata e complessità variabile in base a fattori personali e situazionali. Si tratta di un lavoro psichico che comporta forza, movimento, fatica e spostamento di accenti, di attenzione, di priorità e di ottica: il lutto implica la ristrutturazione di un nuovo rapporto con sé e con il mondo in seguito alla perdita dell’altro. Non è solo un distacco e un abbandono ma anche una ricostruzione del mondo interiore e di un nuovo equilibrio con l’ambiente esterno.
L’elaborazione del lutto negli esseri umani è caratterizzata da cinque fasi ben riconoscibili:
- Rifiuto o negazione: fase caratterizzata da shock e stordimento per la morte, ricerca nel proprio ambiente di rumori o presenze del proprio caro;
- Contrattazione o patteggiamento: fase contraddistinta dalla speranza del ritorno del proprio caro, dal fare promesse affinché questo possa accadere;
- Rabbia: fase dove emerge la frustrazione, la rabbia verso il destino, il mondo e gli altri;
- Depressione: caratterizzata da profonda tristezza e dolore per la realtà e l’irrimediabilità della morte;
- Accettazione: ultima fase contraddistinta dalla riorganizzazione e dal ritorno alla vita conservando i ricordi, senza che questo determini un dolore insopportabile;
Queste fasi, generalmente, si presentano nell’ordine descritto scritto ma possono anche seguire un ordine differente, alternarsi, sovrapporsi e ripetersi nel corso del tempo; questo perché la risposta emotiva agli eventi non ha sempre un decorso preordinato. Tutto ciò potrebbe accadere in maniera analoga anche negli animali ma, attualmente, non siamo in grado di determinarlo. Invece, come si desume dall’esperienza personale e dal lavoro di molti colleghi omeopati, l’utilizzo di numerosi rimedi omeopatici che vengono tradizionalmente utilizzati in ambito umano per l’elaborazione del lutto, possono essere altrettanto utili in ambito animale.
Tra i maggiormente noti ricordo:
• Ignatia amara: è il rimedio omeopatico indicato più di frequente per trattare le reazioni immediate alla perdita del compagno. Rispondono a Ignatia i soggetti apatici e colti dal senso di irrealtà, emotivamente ipersensibili, con reazioni talvolta paradossali o isteriche;
• Natrum muriaticum: è il rimedio classico per le reazioni prolungate e irrisolte di fronte al lutto. I soggetti che rispondono a Natrum muriaticum tendono a non esprimere i propri sentimenti al momento della perdita mostrando un’espressione coraggiosa in volto; si occupano delle questioni pratiche e hanno cura degli altri ma, dentro di sé, vivono ma terribile depressione;
• Causticum: è indicato per quelli che si sono presi cura e hanno accudito il proprio compagno per molto tempo. Un tratto caratteristico è la rabbia, soprattutto nei confronti dell’ingiustizia della perdita;
• Phosphoricum acidum: utile per trattare quei soggetti che a seguito dello shock affettivo si trovano in una condizione di completo esaurimento che si riflette in uno stato depressivo che invade mente e corpo. Il paziente che corrisponde alla costituzione di questo rimedio è incapace di pensare, è apatico, soffre di insonnia notturna e sonnolenza diurna;
• Staphysagria: rimedio utile per chi tende a reprimere le emozioni provocate dalla perdita, manifestando saltuariamente attacchi di collera conseguenti alla continua tensione emotiva: il tipo Staphysagria tiene tutto dentro di sé, ingoia, si carica di indignazione, trattiene tutte le emozioni.
• Aurum muriaticum natronatum: indicato quando il lutto è accompagnato da una vera e propria sindrome melanconica, caratterizzata da tristezza, disperazione, sensi di colpa per la perdita del compagno. La sofferenza che prova il soggetto è molto gravosa: può manifestare varie forme di autolesionismo (leccamento compulsivo, strappamento del pelo, etc.).
Per la repertorizzazione dei sintomi possiamo fare riferimento alle rubriche seguenti (RadarOpus 1.41):
- MENTE - DISTURBI DA - morte di persone care: (38)
- MENTE - DISTURBI DA - afflizione: (96) Ma, in base alla sensibilità del soggetto e alle sue manifestazioni comportamentali, possiamo prendere in considerazione molte altre rubriche:
- MENTE - LASCIATO, abbandonato; si sente: (192)
- MENTE - AFFLIZIONE (pena): (149)
- MENTE - AFFLIZIONE (pena) - eventi passati; per: (5)
- MENTE - TRISTEZZA - passati; per eventi: (3)
- MENTE - EMOZIONI - soppresse: (26)
- MENTE - INCONSOLABILE: (55)
- MENTE - RIMUGINARE: (80)
- MENTE - RIMUGINARE - delusione; su una: (3)
- MENTE - INDUGIA (rimugina) - delusioni; sulle: (2)
- MENTE - INDUGIA (rimugina) - passati avvenimenti sgradevoli; su: (84)
- MENTE - PENSIERI - persistenti - argomenti sgradevoli; ossessionato da: (12)
- MENTE - PIANTO - non riesce a piangere anche se è triste: (32)
Infine, potrebbero essere valutate alcune rubriche dedicate ai disturbi da delusione in amore, anche se è molto discutibile se sia possibile applicarle integralmente agli animali:
- MENTE - AFFLIZIONE (pena) - silenziosa - amore; da delusione in: (6)
- MENTE - DISTURBI DA - amore; delusione in: (57)
- MENTE - TRISTEZZA - amore; da delusione in: (13)
- MENTE - DISPERAZIONE - amore; da delusione in: (4)
Negli animali da compagnia, oltre all’utilizzo di un rimedio omeopatico accuratamente selezionato, è possibile mettere in atto alcune strategie di comportamento per agevolare l’elaborazione del lutto:
1) Prendere atto della morte: sarebbe bene che l’animale potesse vedere e annusare il cadavere del compagno morto per prendere atto dell’effettiva dipartita. Il tempo impiegato ad annusare e a strofinare il muso sul corpo del compagno morto, come in molte specie animali, fa parte del processo di elaborazione del lutto.
2) Mantenere le routine quotidiane: spesso la depressione che un cane manifesta dopo la morte di un compagno deriva dal cambiamento nella gerarchia del branco che va a sconvolgere l’ordine preesistente, causando insicurezza e disorientamento. Anche nel gatto, animale estremamente abitudinario,grandi cambiamenti della quotidianità sono percepiti come altamente stressanti. E’ bene, quindi, mantenere regolari le attività giornaliere, come l’orario dei pasti, le uscite all’esterno, il tempo dedicato ai giochi e gli orari del sonno. Questo riduce lo stress emotivo e permette all’animale di adattarsi velocemente alla nuova situazione.
3) Dare attenzione: venendo a mancare il compagno di giochi animale può richiedere più attenzioni al proprietario, spesso anche in modo maniacale. Sarebbe importante passare più tempo con il proprio cane o gatto, magari facendo giochi interattivi e nuovi esercizi che lo stimolino mentalmente. Anche il parlargli può essere utile: non tanto perché sia in grado di comprenderci ma perché la voce del proprietario tende a rassicurare l’animale, convincendolo di non essere solo.
4) Curare l’alimentazione: molti animali abbattuti dalla perdita di un compagno possono mangiare meno o rifiutare completamente di mangiare. E’ bene incentivare l’animale a mangiare, mantenendo comunque gli stessi orari e gli stessi alimenti; attenzione a non viziarlo o dargli abitudini sbagliate! 5) Evitare adozioni troppo ravvicinate alla perdita: è decisamente sconsigliato adottare un nuovo animale a poca distanza dalla scomparsa del precedente. La sostituzione spesso non risolve la depressione, bensì la aumenta: non solo accresce lo stress, ma la nuova presenza potrebbe essere percepita come un’inappropriata invasione dell’ambiente famigliare. Tuttavia, se si desidera inserire un altro animale in famiglia, è consigliabile fare delle prove con il cane o il gatto di un amico, magari tenendolo in casa per qualche ora in modo da valutare le reazioni del proprio animale.
Conclusioni
Negli ultimi anni è emersa una grande quantità di nuove osservazioni sulle risposte degli animali alla morte, che spingono fortemente a concludere che cetacei, grandi scimmie, elefanti e moltissime altre specie, inclusi gli animali d’allevamento e quelli da compagnia, possono, a seconda delle circostanze e delle loro personalità individuali, provare dolore per la morte di un parente o di un compagno. Negli animali da compagnia questo discorso è ancora più valido, in quanto la stretta convivenza con l’uomo crea un legame empatico e una reciprocità emotiva che supera le diversità di specie: con i nostri animali si crea un vero e proprio scambio affettivo, si costruisce un mondo che è lo scenario della relazione, ricco, complesso, che riveste per l’uomo un’importanza immensa sotto il profilo psicologico. Un rapporto che è vitale in quanto reciproco, come chiunque possieda un animale può testimoniare. E questo avviene anche tra gli animali che convivono sotto lo stesso tetto. Quando questo rapporto viene meno il dolore provato dall’uomo e dall’animale, seppure con connotazioni diverse può presentare gli stessi meccanismi di espressione. Proprio per questo motivo è possibile utilizzare con successo anche in ambito animale gli stessi rimedi omeopatici comprovati per gli eventi luttuosi umani.
Bibliografia
1. Goodall J. “Life and death at Gombe” – National Geographic Magazine – 1979 http://ngm.nationalgeographic.com/print/1979/05/jane-goodall/goodall-text
2. Moss C. J. “Elephant memories: thirteen years in the life of an elephant family – 2000
3. Douglas-Hamilton I. et al. “Behavioural reactions of elephants towards a dying and deceased matriarch” http://savetheelephants.org/wpcontent/uploads/2014/03/2006DeathofMatriarch.pdf - Science direct – 2003
4. Ritter F. “Behavioural responses of rough-toothed dolphins to a dead newborn calf ” – Marine Mammal Science – 2007 http://m-e-er.de/Wordpress/download/wissenschaftliche_publikationen/RTD_Note_MMS_Ritter2007.pdf
5. King B.J. “Il senso del lutto negli animali” – Le Scienze – 2013
6. Companion Animal Mourning Project - The American Society for the Prevention of Cruelty to Animals (ASPCA) 1996 - https://www.aspca.org/
7. Ehrlich J. “Grieving cats” – International association of animal behaviour consultants - 2014
8. Andics A. et al “Voice-sensitive regions in the dog and human brain are revealed by comparative fMRI” – Current Biology – 2014 - http://www.cell.com/current-biology/abstract/S0960-9822%2814%2900123-7
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Autori: Silvia Ruini
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