Omeopatia e autismo: intervista a Pierre Fontaine

Pubblicato il 27/10/2015

Categorie: Metodologia Omeopatica

Autori: Alan Schmukler

Traduzione a cura di: Giovanni Ballarin

Fonte: Hpathy

Omeopatia e autismo: intervista a Pierre Fontaine

Intervista all'omeopata Pierre Fontaine, che ha trattato oltre mille casi di autismo.

 

Oggi facciamo una chiacchierata con Pierre Fontaine, l'omeopata di New York che ha trattato oltre mille casi di autismo. Pierre è tra i fondatori della New York State Homeopathic Association, ha parlato di omeopatia alla Autism One National Conference e tenuto lezioni sull'argomento per svariate Università americane a Dubai e in Cile. È l'autore di "Homeopathy, Sweet Homeopathy" nonché di numerosi articoli, inoltre è stato ospite del programma televisivo: "Homeopathic Times".

AS: Come hai iniziato a occuparti di autismo?

PF: Mi sono interessato all'autismo quasi per caso, venticinque anni fa. La prima paziente a cui ho dato un rimedio aveva la sindrome di Rett, che si trova all'estremità dello spettro autistico. La bambina aveva avuto delle crisi epilettiche anche se era sotto farmaci. Io le ho dato Silicea e gli attacchi sono cessati (o perlomeno, che io sappia, non ne ha più avuti). Certamente si è trattato di un ottimo risultato, ma ciò che più mi ha colpito di quel caso è stato l'atteggiamento dei genitori: non volevano più che la figlia prendesse medicine, ma avevano paura di essere arrestati per negligenza. Dopo sei mesi hanno trovato il coraggio di parlarne con il medico curante, lui si è trovato d'accordo e la cura farmacologica è stata sospesa. La gravità di quella situazione ha suscitato la mia curiosità per l'argomento, perché ho a cuore il bene dei bambini e quello dei genitori: ancora oggi dico sempre che mi occupo di autismo per tutta la famiglia. Con l'autismo ho trovato un argomento di studio che è perfetto per come sono fatto, perché mi piace affrontare e risolvere le questioni complicate e secondo me non c'è niente di più complicato di questo disturbo. Per esempio, come ho accennato poco fa, è fantastico curare un'asma, una diarrea o degli attacchi epilettici che si presentano diverse volte al giorno per anni, ma nel caso dei bambini autistici si tratta solo di alcuni dei sintomi di un problema più ampio. Chiunque decida di affrontare casi del genere deve sapere che si accinge a una sfida enorme.

AS: Qual è il tuo punto di vista personale sull'autismo?

PF: Secondo me l'autismo è un disturbo simbiotico sistemico. Ritengo infatti che il novanta per cento dei componenti del corpo umano sia sconosciuto. Ci sono miliardi e miliardi di batteri non identificati, miliardi e miliardi di virus e Dio solo sa quanti miceti che interagiscono gli uni con gli altri. Mi piace pensare a questo insieme come a una grande città fatta di milioni e milioni di parti che contribuiscono a un corretto funzionamento. A livello fisico, credo che sia il grave danneggiamento di tale materia a causare l'autismo.

Generalmente, il disturbo biologico di una malattia sta all'interno di un asse. Ciò che io definisco asse di una malattia è ciò che viene disturbato nella simbiosi dei miliardi e miliardi di cellule non umane. Per quel che riguarda molte patologie, ad esempio l'artrite, il morbo di Crohn o il comune raffreddore, l'asse di disturbo all'interno dell'ambiente vivente è limitato a certi "quartieri", quindi causa un numero limitato di sintomi. Nel caso dell'autismo, penso invece che a subire dei danni catastrofici sia un'enorme quantità dei milioni di diverse colonie (da non confondersi col numero totale menzionato poco fa), che siano batteriche, virali o fungine. Naturalmente, viene danneggiata anche la loro relazione reciproca. Questa totale confusione può provocare dozzine di sintomi e fa sì che spesso, nel trattamento dell'autismo, ci si allontani dai fondamenti dell'omeopatia classica. È necessario capire che tanti dei sintomi che vediamo, soprattutto i più comuni, sono di secondaria importanza, come per esempio potrebbe essere l'arrossamento delle articolazioni in un caso di artrite. Il problema principale dell'autismo è proprio questo: bisogna trovare i rimedi più efficaci cercando di capire esattamente con cosa si ha a che fare in mezzo a una marea di sintomi piuttosto comuni. Questo metodo ha funzionato in passato per qualsiasi malattia, perciò non c'è motivo di trattare l'autismo in maniera diversa.

AS: Come descriveresti i tuoi primi approcci alla cura dell'autismo? Com'è cambiato il tuo approccio nel corso degli anni?

FP: I miei primi approcci erano basati su quello che avevo imparato, ovvero il Repertorio e la Materia Medica, quindi affrontare l'argomento attraverso la gravidanza è stato più semplice. Nel frattempo, ho sviluppato una definizione tripartita di questo disturbo, ovvero:

1. Mancanza di contatto visivo spontaneo
2. Mancanza di interazione spontanea
3. Mancanza di comunicazione verbale spontanea

Per la diagnosi, ho elaborato una scala personale che va da 0 a 10. Il punto sta nello raggiungere il 10 in tutte e tre le categorie. Prendiamo la mancanza di comunicazione verbale spontanea: molti genitori riferiscono che il loro bambino parla, ma che spesso si limita a dire: "Voglio..." Se questo desiderio viene espresso spontaneamente, lo considero un 2 sulla mia scala, 1 se espresso a seguito di uno stimolo esterno, poiché in questo caso non costituisce una verbalizzazione spontanea. Il contatto visivo rappresenta un 4 se il bambino rivolge lo sguardo ai genitori e sostiene il loro, il discorso cambia se si tratta di estranei. Descrivendo la situazione, di solito i genitori usano degli eufemismi ma poi, quando si parla concretamente del caso, la realtà appare ben diversa. Di solito chiedo alle persone di essere il più dirette possibile, ma solo pochi riescono a esprimersi senza tanti giri di parole. Facciamo un esempio per farla breve... un giorno ho lasciato parlare una mamma di cose che andavano al di là della gravidanza, poiché in fondo la maggior parte delle madri lo fa in ogni caso. Avevo due idee in mente: per prima cosa, non mi piaceva cominciare facendo riferimento alla gravidanza, poi, ascoltando questa donna che parlava di suo figlio, mi sono reso conto del fatto che mi stava mostrando ciò che io chiamo Porte oppure Percezioni.

È un concetto che posso spiegare facendo riferimento alla sequenza conclusiva del film Il Gladiatore, che ricordo molto bene. Nel finale il protagonista sta morendo e viene mostrata una serie di immagini mentali in cui apre una porta e successivamente si trova a camminare in un campo di grano. Durante il consulto di cui parlavo, colpito da quello che stava succedendo, ho capito che dovevo fare alla donna delle domande precise che la portassero ad aprire quelle porte, le porte di una percezione più profonda. È stata un'esperienza bellissima e in quel momento ho capito che stava cercando di immedesimarsi in suo figlio. Stava mettendo se stessa e il suo ego da parte, offrendosi come tramite per dare voce al bambino. Comunicare con i nascituri era un problema fondamentale che impediva di arrivare alla diagnosi e da tempo stavo cercando un modo per risolverlo. In quel momento avevo trovato la strada giusta. Non mi restava che fare le domande più adatte in modo che la madre continuasse a parlare senza il filtro della propria autoconsapevolezza. Ero arrivato a un livello più profondo e, in un certo senso, ci era arrivata anche lei. Ora, non ricordo il caso di per sé, ma questa storia ci porta a ciò che nel mio libro chiamo "Rappresentanza", un concetto che si può applicare anche al problema dei figli adottivi poiché, almeno in teoria, chiunque può raggiungere questo livello di intimità e di altruismo. Per lo stesso motivo, il mio libro si intitola: "Un cuore, una mente".

AS: Capisco. Quindi la madre ti stava offrendo una strada per arrivare al livello del bambino. Puoi parlare più nello specifico dei tuoi metodi di trattamento? Usi le prescrizioni classiche l'Omeopatia classica, la terapia drenante, l'isopatia oppure altri metodi?

PF: Questo è il punto principale della questione: io sono un omeopata classico! Sin dalla nascita dell'omeopatia la gente ha pensato che per curare "nuove malattie" fossero necessari nuovi sistemi e di solito questi metodi erano incentrati sull'isopatia. Ne ha parlato anche Hahnemann dicendo: "Alcuni vorrebbero introdurre un terzo tipo di terapia, chiamata isopatia... ma da essa non si può ricavare nulla, se non disgrazie e l'aggravamento delle malattie". Io sono perfettamente d'accordo con lui. La mania per l'isopatia che ha preso piede di recente, purtroppo con la benedizione delle nostre organizzazioni legate all'omeopatia, si è rivelata perlopiù dannosa per i bambini che si trovano nello spettro autistico. In questo senso, l'omeopatia ha preso la direzione sbagliata riguardo alla cura. Questi metodi dell'isopatia risultano familiari a chi la pratica perché si avvicinano di più al modello allopatico che conoscono. Se hanno a che fare con un danno da vaccino, danno come rimedio un vaccino polivalente per il principio secondo cui il simile cura il suo simile. Questo concetto è di gran lunga più facile da capire dell'omeopatia in sé e purtroppo tanti lo adottano credendo di applicare il metodo omeopatico. Nella pratica, prendiamo l'esempio di un rimedio dato a un bambino. Se questo rimedio non funziona, anche dopo una dose sola, ci si sente in obbligo a cambiarlo o a usare un nosode ecc. Una volta una mamma mi ha detto: "Ho usato un deodorante, forse dovremmo disintossicare il piccolo". Ancora, l'atteggiamento di cui parlo si ritrova nel comportamento di una certa azienda legata all'isopatia che vende a migliaia di dollari "specialità farmaceutiche" presumibilmente in grado di depurare qualunque cosa. Una volta una persona mi ha detto: "Volevano disintossicarlo dal vaccino MPR, ma mio figlio non l'ha mai fatto." Il boom dei metodi isopatici per trattare l'autismo si deve all'impossibilità di raggiungere verbalmente il bambino, ma il sistema della "Rappresentanza" risolve questo problema dando voce al nascituro e riesce a spiegare tante altre questioni, come la natura della gravidanza.

Noi siamo scienziati di omeopatia classica: questo è il metodo che usiamo perché la storia ci dice che è quello che funziona meglio. Reinventare la ruota ogni volta non ha senso, significa non riconoscere le parole di Einstein sulla follia: "Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettare risultati diversi." L'omeopatia è un territorio molto difficile da affrontare e per arrivare alla guarigione dobbiamo applicarci seriamente. Alcuni si definiscono "omeopati intuitivi" lasciando le capacità della mente umana nelle mani di un'entità superiore, come a dire che le persone non possono arrivare a comprendere certe cose ma solo affidarsi alla guida di qualcosa di più grande. Ora non fraintendermi, non sono un "Hahnemanniano", però a volte ritornare a considerare l'Organon è necessario dal punto di vista critico. Detto questo, è facile capire perché le caratteristiche dell'autismo abbiano molto alimentato questo genere di pensiero indipendente. È veramente incredibile vedere omeopati classici praticare l'omeopatia classica per tutto fuorché per l'autismo. Io intendo spezzare questo circolo vizioso e far capire alla gente che l'autismo è un disturbo come tutti gli altri, anche se molto più complicato da affrontare.

In questo senso, il metodo classico risulta efficace e la soluzione migliore rimane la presa del caso. Per esempio, Dioscorea è un ottimo rimedio nei casi di autismo. Quando si consulta la Materia Medica, non si trovano riferimenti all'autismo, eppure se ne possono rintracciare i sintomi fisici. Usando il metodo della "Rappresentanza", è possibile poi intuirne la presenza anche attraverso le sensazioni comunicate dal paziente. Considerando il fantastico lavoro di Jan Scholten sulla classificazione delle piante, si capisce perfettamente perché Dioscorea funziona, essendo classificata come 633.22. Lo stesso vale per la famiglia delle Araceae che risulta molto utile come 632 e naturalmente 622, ma attenzione ai rimedi del 7° periodo perché, secondo la mia modesta opinione vicina a quella di sua maestà Jan, lui sbaglia a prendere in considerazione le caratteristiche principali della malattia invece dei sintomi strani, rari e peculiari che sono quelli che dovremmo usare. In ogni caso, non voglio essere frainteso: lo spettro autistico è così vasto che non possiamo screditare tutti i metodi isopatici o tutti i rimedi del 7° periodo, però resta il fatto che il 95% dei primi risulta inutile per la cura di questo disturbo.

AS: Potresti spiegarci meglio il tuo metodo di presa del caso che si basa sulla "Rappresentanza"? Inoltre, potresti parlarci del tuo punto di vista sulla gravidanza?

PF: Lo stato di gravidanza è quello del bambino, non della madre. Quest'idea si allontana molto dal pensiero comune, ma bisogna capire che la madre non ha un ruolo rilevante: anche se in una percentuale dei casi il suo stato è lo stesso del bambino, di solito rappresenta un semplice tramite biologico. Nella maggior parte delle situazioni, l'insieme del suo stato fisico, emotivo e mentale rappresenta una manifestazione di quelli del figlio. Non si tratta di lei, ma della creatura che ha in grembo. Il feto cresce attorno alla scintilla primaria della Forza Vitale e acquisisce le caratteristiche che, in omeopatia, vengono riconosciute come "stato". Possiamo fare un ulteriore passo avanti e azzardarci a dire che le decisioni delle persone esterne come medici e altri sono prese, a loro stessa insaputa, in sinergia con le vibrazioni emesse dal nascituro piuttosto che dalla madre. Spesso, anzi, quest'ultima viene assolutamente esclusa.

Per esempio, il caso di un bambino che soffre di un ipersensibilità, genererà lo stesso stato negli altri e le procedure adottate rifletteranno questa situazione. Questo spiega perché un gran numero di donne spesso dice: "Non ero me stessa quando ero incinta". In sostanza, la gravidanza può essere considerata una sorta di trapianto subito dalla madre e in fondo, si può pensare la stessa cosa anche del proving. Questa teoria è in linea con i principi dell'omeopatia e, naturalmente, ha più senso della comune attribuzione di tutto ciò che succede in gravidanza all'attività degli ormoni. Si tratta di un processo meraviglioso in quanto regala la possibilità di essere qualcun altro, di scoprire il nascituro e di imparare tante cose su di lui, o almeno, di essere quello che io chiamo: "il primo testimone". La madre ha un'incredibile opportunità di essere informata, ricevendo una comunicazione da un piano diverso. Purtroppo, a quest'idea si preferisce ancora quella degli ormoni… immagina però cosa succederebbe se la futura madre mettesse per iscritto i propri sentimenti e le proprie sensazioni: avremmo un resoconto dello stato del bambino durante la gravidanza e sarebbe incredibilmente utile. Prendere in considerazione un caso di autismo durante una gravidanza risolverebbe moltissimi problemi. Ciò di cui sto iniziando a occuparmi rappresenta la prevenzione più efficace, si tratta di un'opportunità importante quanto conservare il sangue cordonale. Senza quel resoconto diretto, il lavoro per arrivare allo stato di "Un cuore, una mente" è un po' più difficile. Ribadisco, questo processo non è diverso dal fare un proving, se non per il fatto che fornisce più informazioni cliniche.

Anche il padre è un testimone e il suo stato può essere esplorato come se lui stesso fosse parte delle sensazioni. Spesso dico che amo gli uomini italiani perché sembrano avere una spiccata sensibilità e l'abilità di esplorare le emozioni al di là di loro stessi. Negli Stati Uniti invece, gli uomini sono stati trascinati in un terribile stato "al testosterone", privati del loro lato femminile e relegati al ruolo di disturbatori che spezzano l'equilibrio della fonte delle informazioni. Per loro, questa sciocchezza comincia nei primi momenti dell'esistenza, possiamo dire, sin da quando il pediatra annuncia: "E un maschietto". Da lì in poi, i maschi sono oggetto di una serie di paragoni, come ad esempio il fatto che non si sviluppano rapidamente come le femmine. I ragazzi americani in particolare crescono sentendosi ripetere che non capiscono e che in qualche modo non sono uguali alle loro coetanee: permettimi di dire che questo è vergognoso.

RAPPRESENTANZA – Ecco l'esempio di una madre che inizia a parlare non di suo figlio, ma come se fosse suo figlio, poiché le è stato richiesto in uno stadio precedente del consulto. Notiamo come ci sia un'alternanza tra le sensazioni descritte, in quanto la donna passa dal resoconto delle sensazioni del bambino alle proprie. Il talento dell'omeopata sta nel cercare di mantenerla nello stato in cui interpreta le sensazioni del nascituro.

La madre

"Detesta il rumore del pianto. Trova il bambino e lo guarda come a dire: "Che stai facendo?" Avvicinandosi, lo osserva con disapprovazione. Anche gli insegnanti lo sanno. Apre la bocca, strabuzza gli occhi. Irritato, è arrabbiato. Non capisce. Non vuole che la persona stia lì; è irritato e vuole che se ne vada, segue una routine. "Se non fossimo qui lui si sentirebbe meglio".

Mi dica di più. Che significa "Non vuole che la persona stia lì"?

"È arrabbiato, agitato. Non so cosa dire poi; è una cosa che faccio con le mani. Voglio che smetta. Voglio controllare le mie emozioni. Voglio allungare una mano e schiaffeggiarli. Inizio a piegare le dita. I movimenti ripetitivi e l'agitazione vengono da me; è una cosa che un po' faccio anch'io."

Me ne parli un po' meglio

"È una sensazione di peso. È qualcosa che pizzica, è irritante, prude, quasi doloroso. Un pizzicore, come degli spilli. È come se nessuno capisse quello che dici. Sono un'insegnante, quando i bambini mi fanno delle domande mi aiutano a controllare le mie emozioni. Potrei sfogarmi, è sempre una manifestazione delle mie emozioni in fondo. Questa sensazione viaggia verso la mia mano. Si tratta sempre di buon senso. Perché la pensate così? Perché non vi comportate come vorrei? Mi agito. Cerco di radunare i miei pensieri e basta. Nessuno mi capisce, provo rabbia. Mi sento vittima di un inganno. Nessuno la pensa come me. Non mi va di aspettare che le persone capiscano certe cose. Sto iniziando a capire questa rabbia; non mi capiscono, devo fare attenzione a quel che dico e provare questa sensazione di incomprensione."

PF: L'intero caso può essere preso in questo modo. Si può letteralmente dar voce al bambino: "Un cuore, una mente". Comunque, nei casi di autismo le fasi acute giocano una parte fondamentale nel miglioramento.

AS: Capisco. Quindi si tratta di intuire quando la madre sta parlando per il bambino e quando sta solo proiettando le proprie emozioni? Spieghi come si fa nel tuo libro?

PF: Tra le due cose c'è una grande differenza. La proiezione non è molto utile, può dare degli indizi ma spesso si tratta solo della madre che da voce all'emisfero destro del suo cervello. Il libro parla di come discutiamo, soprattutto durante la visita. Il modo in cui le persone ci parlano si può dividere in quattro fasi.

1. Di solito una visita inizia coinvolgendo l'emisfero sinistro del cervello, molto razionale.
2. Poi abbiamo delle immagini, prendiamo per esempio un dolore pungente... si passa all'emisfero destro.
3. Dunque, quando arriviamo alle domande, la paziente cerca di razionalizzare la risposta che ha dato con l'emisfero destro usando la logica. "È pungente perché...". Se glielo si fa notare, cambierà la domanda ripetendola in base alla risposta che ha già in mente.
4. È importante rendersi conto che ciò che lei prova è reale, ma non corrisponde alla verità. Se riusciamo a evitare che cada in questa tendenza, si sposterà in una zona diversa e Divya [Si tratta probabilmente del nome di una paziente. NdT] a volte è brava a fare queste cose. Dobbiamo capire esattamente qual è la prospettiva da cui parla.

Nei casi di autismo chiedo qualcosa di diverso, come nell'esempio che ho fatto prima in cui la madre sospende i propri processi mentali e diventa il bambino. Questa è la vera differenza. Farsi tutt'uno col nascituro è diverso dalla proiezione. La madre non parla per lui, diventa lui, ma naturalmente, la linea che separa le due cose è molto sottile. Una madre mi ha detto: "Adesso capisco esattamente come si sente. Me lo sono sempre chiesto e adesso lo so." Nei casi in cui ho usato la questione della gravidanza durante la visita, alcune madri si sono sentite male come quando erano incinte, oppure hanno avuto un sapore metallico in bocca come era successo loro durante la gravidanza, oppure che hanno avuto i dolori di stomaco del bambino. Tra l'altro, non dimentichiamoci che l'autismo è una malattia fisicamente molto dolorosa.

Di solito, chiedo alla madre di diventare il bambino come un grande attore potrebbe interpretare un personaggio. Le chiedo di diventare la sua carne e il suo sangue. Questo è un livello molto profondo, ma non sempre è necessario arrivarci, infatti bisogna adattarsi al caso che si ha davanti. Ci sono casi in cui questo livello di profondità può essere raggiunto, altri in cui se ne raggiunge uno diverso e che richiedono un'analisi differente. Di nuovo, uno dei lati migliori del concetto di "Rappresentanza" è che può funzionare anche nei casi dei figli adottivi.

AS: Quanti casi hai trattato finora? Quali sono i risultati?

PF: Ho trattato più di mille casi e i risultati sono stati buoni. Non posso dare cifre perché ci vorrebbero delle ricerche per le quali avrei bisogno di uno staff e non ho più collaboratori, però posso dire che nella maggior parte delle situazioni i bambini stanno meglio e molti sono guariti. Questa è una cosa importante, ma non importante quanto il futuro della mia pratica. Questo tipo di pratica per me non è più utile.

AS: Puoi dirci qualcosa del tuo prossimo libro?

PF: Il mio libro: "Un cuore, una mente" dovrebbe uscire a settembre di quest'anno. Descrive gli argomenti di cui abbiamo parlato oggi insieme alla mia teoria sulla biologia del corpo, ovvero l'idea che all'interno del nostro corpo, 9 cellule su 10 siano di origine non umana, cosa che spiega, tra l'altro, il motivo per cui la medicina tradizionale non può fare molto per le malattie. Nel libro discuto il metodo della Rappresentanza, dell'omeopatia vista attraverso un'unica mente e del lavoro di Montagnier riguardante il punto di contatto tra la vitalità e la fisicità.

AS: Grazie per essere stato con noi oggi.

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