La vita di Mercy Bisbee Jackson [Maestra dell'Omeopatia]
Categorie: Storia dell'Omeopatia
Autori: Anna Fontebuoni
Fonte: Il Medico Omeopata - Rivista
Mercy Brisbee Jackson (1802-1877) si diploma a 17 anni a un liceo privato locale, è risoluta, indipendente, e accetta subito un posto di insegnante a Plainfield, a più di 100 chilometri da casa. Per quanto in terra di pionieri, è il 1819 e la sorte delle ragazze di buona famiglia è tradizionalmente un’altra. E infatti, nel 1823, dopo aver ottenuto il fatidico “avvicinamento”, trova marito.
Il reverendo John Bisbee, pastore della First Universalist Society, è uomo di vedute progressiste, molto amato e stimato dalla comunità e sicuramente esercita un’influenza intellettuale positiva sulla giovane. Ma la vita rimane quella: casa e famiglia. Nascono tre figli: il primogenito muore ancora neonato di scarlattina, e poi anche il reverendo Bisbee se ne va nel 1829, per una polmonite. Rimasta sola con due bambini piccoli, Mercy non si perde d’animo e, sfruttando la vecchia esperienza di insegnante, istituisce nel suo paese una scuola per ragazze.
Per tre anni le cose vanno bene, poi sopravvengono problemi: nel ’32 le muore un altro figlio, lo stress aumenta, la salute e i soldi calano, e deve scendere a un compromesso. È una giovane vedova, piacente, intelligente, colta, la storia vorrebbe vederla felicemente risposata, magari con un agiato signore del posto. E invece no, lei tira fuori gli artigli da imprenditrice e mette su un negozio di tessuti. Passano altri tre anni e incontra l’uomo giusto: è il capitano Daniel Jackson, di Plymouth. Vanno ad abitare nella storica cittadina del Massachusetts: lui ha quattro figli da un precedente matrimonio, insieme ne faranno altri otto (di cui quattro moriranno in tenera età).
Mercy si fa conoscere come moglie e madre esemplare: ha avuto in tutto 11 figli, di cui due coppie di gemelli, li ha tirati su con sapienza, ma non ha potuto evitare le disgrazie. E lei non si capacita, tutte quelle malattie, e quelle morti, quella medicina convenzionale incapace, violenta, insensibile verso i più deboli, possibile che non esista un modo migliore di curare?
Ne parla con il suo medico di famiglia, il dr. Caper, e lui comprende la sua ansia di conoscenza e le mette a disposizione la propria biblioteca e i propri consigli. Mercy si mette a studiare, poi, probabilmente in un circolo di intellettuali illuminati che frequenta nella cittadina di Concord, viene introdotta al nuovo metodo di terapia dolce, fatto di piccole dosi di medicinali: l’Omeopatia.
Confida al dr. Caper la sua scoperta, e lui, interessato al pari di lei e in mancanza di omeopati vicini, approfitta di un viaggio a Boston per acquistare libri e rimedi omeopatici. Nel 1841 Mercy comincia a praticare la medicina omeopatica con amici e parenti, fa come hanno fatto prima di lei migliaia di donne su tutta la Terra. Donne che conoscono quali erbe raccogliere per far passare la febbre, cicatrizzare una ferita, che sanno dove mettere le mani per far nascere un bambino o semplicemente che sanno stare vicino a un malato giorno e notte. La pietà, la medicina tradizionale non violenta, la stregoneria, sono attributi femminili.
Per 18 anni cura a casa, con la “nuova” medicina, e con buoni consigli di igiene e di esperienza personale. I suoi pazienti sono soprattutto bambini: riscatta quello che a lei come madre è stato sottratto. Ma è naturale che si rivolgano a lei anche le donne, le madri, e i padri. La sua pratica incessante e la sua esperienza, però, non sono sufficienti a evitare di perdere anche il secondo marito, di cancro, nel 1852. Come sempre, Mercy si rimbocca le maniche. Va a Boston, a far pratica da un omeopata, ma ancora non le basta. Vuole elevarsi dalla condizione di “terapeuta”, più o meno casalinga, per quanto stimata da tutta la comunità di Plymouth, non vuole fare l’ostetrica o l’infermiera, professioni tradizionalmente femminili, vuole avere l’ufficialità di una laurea in medicina.
Ambizione o determinazione? Cocciutaggine o idealismo? Certo è che qui i problemi se li va a cercare. Siamo a metà Ottocento e il mondo della Medicina, come praticamente tutti gli altri ambiti di lavoro, non dà spazio alle donne. L’uomo è il “breadwinner”, è quello che elegge i propri rappresentanti in parlamento, e che cura le donne. Non che loro non chiedano di essere ammesse all’università, anzi la richiesta è tanta in un periodo in cui nasce il movimento per il diritto al voto e la lotta per la parità sociale, ma semplicemente gli accademici si difendono da chi vorrebbe sradicare l’ordine costituito.
Eppure il cambiamento avviene. La prima donna che si laurea in medicina in America è Elizabeth Blackwell, al Geneva Medical College di New York nel 1849. E anche Mercy viene ammessa a un’università di Medicina Omeopatica di Boston, il New England Female Medical College (che diventerà l’attuale Boston University) e nel 1860 si laurea. Ha la bella età di 58 anni e ce l’ha fatta ancora una volta. È una donna matura, fiduciosa di sé. Kent, che nasce qualche decennio dopo di lei, avrebbe parlato di “will”, volontà, Brecht di “coraggio”, Spielberg di “forza”. A questo punto ha un obiettivo molto chiaro: lottare non solo per la salute, ma anche per la condizione sociale delle sue pazienti. É il prototipo del medico-missionario in patria, ma è anche una femminista-missionaria.
Niente cortei con striscioni sul suffragio universale, marce di donne borghesi, predicatrici della temperanza, in cappellini fioriti e morbidi stivaletti, ma conferenze appassionate e soprattutto la pratica quotidiana di ascoltare e aiutare le donne. Non è l’unica pasionaria dei suoi tempi: ricordate la “signora della lampada”, l’inglese Florence Nightingale, che fu la pioniera dell’assistenza infermieristica? Vissero nello stesso periodo, si dedicarono entrambe ai malati, ma anche a migliorare la condizione femminile e sembra, da qualche suo scritto, che la Nightingale non solo si facesse curare da un omeopata, ma che promovesse non ufficialmente questo tipo di medicina.
Nel 1871, Mercy Brisbee Jackson è la prima donna ammessa (dopo grandi dibattiti interni, opposizioni, ostacoli) all’American Institute of Homeopathy. Probabilmente è di questo periodo il dipinto che la ritrae: una distinta signora brizzolata in abito vittoriano, da cui spunta un vezzoso collettino di pizzo valencienne trattenuto da un severo medaglione, un’espressione che dà fiducia, un po’ altera ma materna. È un ritratto che dà l’idea dei tempi in cui viveva: la donna è femminile, ma proiettata in un mondo di uguali diritti, è una moglie e madre ma anche una professionista esperta.
Per 13 anni esercita a Boston. Le sue biografie non parlano di miracolose guarigioni di personaggi famosi o ricchi. I suoi sono i quotidiani problemi di chi tratta i malati. La sua carriera prosegue: nel 1874 rifiuta una cattedra al New York Medical College of Women, per diventare professore di Malattie dei Bambini alla Boston University. Non scrive nessun testo didattico, ma tanti articoli per riviste omeopatiche. Rimane famosa per la sua dimostrazione della capacità di Pulsatilla di influire sulla presentazione del feto prima della nascita. Scrive anche articoli per The Boston Women’s Journal, con il linguaggio retorico dei primi idealisti.
Pur essendo contemporanea di Hering, e vivendo nella stessa nazione, che differenza fra lei e il botanico di Dresda trapiantato a Filadelfia! Lui è un intellettuale, un topo di biblioteca, lei praticità pura. Lui si chiude nel suo studio, lei rimane sul campo. Lui risente ancora del romanticismo europeo che gli ha fatto da culla, lei è una vera donna pioniera, che gira con il Rifle sempre carico. Entrambi hanno dato all’Omeopatia intuito e passione. Nel 1875, a 73 anni, si mette in viaggio in treno verso il nord del Michigan per tenere una conferenza sui diritti delle donne e noi immaginiamo, data la sua rinomanza come omeopata, che avesse anche un’agenda piena di visite.
Ma pensate ai treni americani del 1875, la lentezza, la polvere, gli assalti degli Indiani. Lei è capace di godersi il lungo viaggio disagevole e di rimanere incantata davanti alla bellezza delle cascate del Niagara. Forse il suo segreto è la continua positività.
Della sua morte non si sa nulla. Avviene a Boston, nel 1877. Lascia un segno leggero ma netto, femminile, nella storia dell’Omeopatia.
BIBLIOGRAFIA
1. https://joettecalabrese.com/uncategorized/great-women-homeopathy-youre-one/
2. https://en.wikipedia.org/wiki/Mercy_B._Jackson
3. http://www.pilgrimhallmuseum.org/pdf/Mercy_B_Jackson.pdf
4. http://www.homeoint.org/history/bio/j/jacksonmb.htm
5. https://www.britannica.com/biography/Mercy-Ruggles-Bisbe-Jackson
6. Light KM, Florence Nightingale and holistic philosophy. J Holist Nurs. 1997 Mar;15(1):25-40.
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